domenica 2 marzo 2014

Network, code-switching e schemi cognitivi. Ricette per ovviare all'antiscientismo sociologico

Porzione per un taxon: 2 kg. di evoluzione, 1 kg e mezzo ca. di reti neurali, 500 gr. di cognizione e 500 gr. di storia profonda. Tagliate gli ingredienti a fette sottili e fate marinare il tutto per ca. 200.000 anni nell'evoluzione culturale. Al termine della marinatura cuocere a fuoco lento sulla griglia dell'epidemiologia delle rappresentazioni q.b.
Foto dell'utente liz west, da Wikimedia Commons.
ResearchBlogging.org
Da qualche mese stiamo seguendo il fil rouge delle incomprensioni e dei pregiudizi  che le discipline umanistiche nutrono (da sempre) nei confronti della scienza. A dicembre abbiamo commentato l’antidarwinismo antropologico e l’idea della tabula rasa, a febbraio ci siamo occupati delle sempiterne, ed eternamente fallaci, te(le)ologie storiografiche. Per essere equi e solidali, oggi tocca all’anticognitivismo sociologico (con i dovuti correttivi).

Allo stesso modo degli storici, i sociologi del passato recente impegnati negli studi culturali hanno prodotto analisi che, per quanto interessanti, non sono riuscite a implementare uno standard euristico basato su criteri scientifici. Però esattamente come gli storici, citando le parole del sociologo Paul DiMaggio, «i sociologi che scrivono sulle modalità in cui la cultura entra nella vita di tutti i giorni fanno assunzioni sui processi cognitivi. Se assumiamo che un simbolo condiviso evochi un senso di identità comune […], che una certa cornice stimoli le persone a pensare in un modo nuovo un tema sociale […], che le lezioni sulla struttura dello spazio e del tempo imparate a scuola siano generalizzate nelle attività lavorative […], o che i sondaggi possano misurare la coscienza di classe [sociale], stiamo facendo delle potenti supposizioni cognitive» (DiMaggio 1997: 265). Ciò nonostante, fino a tempi piuttosto recenti queste supposizioni sono sempre rimaste metateoriche, ossia non esplicitate, e talvolta poste in termini contraddittori (ibidem). Come nel caso degli antropologi appena ricordato, inoltre, lo stesso concetto di “cultura” appariva ancorato al tema dell’acquisizione tramite socializzazione, volta alla costruzione di una «rete senza cuciture» come espressione paradigmatica di una coerente ed integrata visione complessiva che costituirebbe la «soggiacente variabile latente», rinvenibile tautologicamente in qualunque materiale culturale di una specifica cultura (ibi: 264. Cfr. Bloch & Sperber 2002: 726).
Rispetto alla stragrande maggioranza delle scuole antropologiche di stampo umanistico, però la svolta teorica sociologica ispirata dal poststrutturalismo della seconda metà del Novecento ha permesso sia di riconsiderare come «i testi esercit[i]no potere, autorità, dominio, resistenza, e qualunque tipo di relazione sociale che può o non può essere stata presente nell’autocoscienza dell’autore» (Kraemer 2011: 9), sia di prendere coscienza del modo in cui le trame delle simbologie sociali e della connessa gestione del potere conducono a un uso strategico della cultura in vista di obiettivi specifici. Questo cambiamento di scenario disciplinare ha permesso di innestare un rinnovato e più promettente paradigma sociologico del concetto di cultura (anche senza dover adottare il nonsense del linguaggio postmodernese; cfr. Sperber 2010). Nelle parole di DiMaggio, «una volta che abbiamo riconosciuto che la cultura è inconsistente [rispetto alla monolitica definizione precedente. N.d.A.] – ossia che le norme delle persone possono deviare da ciò che i media [sociali] rappresentano come normale, o che le nostre immagini preconsce e i resoconti discorsivi di un fenomeno possono differire, diventa cruciale identificare le unità di analisi culturale e focalizzare l’attenzione sulle relazioni che intercorrono tra questi elementi» (DiMaggio 1997: 265). Inoltre, continua il sociologo, occorre riconsiderare la variabilità come nuovo asse portante dell’analisi culturale, all’interno di una cultura vista ora come «un insieme di rappresentazioni, un repertorio di tecniche, [e] una cassetta degli attrezzi strategici» (ibi: 267) vincolata dagli schemi cognitivi (ossia, le «rappresentazioni di conoscenza e i meccanismi di computazione dell’informazione»; ibi: 269), e legata all’accesso alle rappresentazioni e al modo in cui gli agenti sociali «attribuiscono accuratezza o plausibilità alle asserzioni di fatti e opinioni» (ibi: 267).
A livello sovra-individuale, lo studio cognitivo si salda con quello sociologico in particolare per quanto riguarda tre temi di rilevanza storiografica:
  • l’identità dei collettivi umani;
  • la memoria collettiva;
  • il cambiamento culturale.
Il primo punto riguarda le rappresentazioni soggette a intensa elaborazione intenzionale e condivise dalla collettività, sottoposte a contestazioni frequenti a causa del fatto che «i gruppi competono per produrre rappresentazioni sociali capaci di evocare schemi cognitivi favorevoli ai loro interessi ideali o materiali» (ibi: 275). La memoria collettiva si può invece intendere come «il risultato dei processi che riguardano, rispettivamente, l’informazione alla quale gli individui hanno accesso, gli schemi cognitivi attraverso i quali le persone comprendono il passato e i simboli o i messaggi esterni che informano questi schemi» (ibidem). L’ultimo punto concerne invece un tema che affronteremo in dettaglio prossimamente, ovvero il cambiamento culturale. L’acquisizione, la diffusione e l’estinzione delle culture dipende da un lato dall’interazione dell’ambiente, sociale o naturale, con le logiche dell’azione, ossia con «i set di rappresentazioni o di vincoli che influenzano l’azione in un particolare dominio» (ibi: 277), e dall’altro dall’influenza reciproca tra le modifiche o i cambiamenti del codice culturale a livello sociale (code-switching) e i modelli cognitivi che spiegano la diffusione e la stasi delle rappresentazioni e dei modelli culturali (ibi: 280). Le modifiche del codice culturale, lente (come nei processi di acculturazione) o rapide (ad esempio, il caso dell’adozione del capitalismo o la risorgenza di determinate religiosità nei territori post-sovietici) vanno intese nell’ottica di quella “cultura frammentata” che trova il suo baricentro nell’interazione dei network in quanto «ambienti cruciali per l’attivazione di schemi cognitivi, logiche [dell’azione] e cornici [sociali]» (ibi: 283).
«Il successo empirico, la prevedibilità, la semplicità e il controllo indipendente dei risultati sono fattori che aumentano le possibilità per la ricerca di giungere a conclusioni affidabili» (Sulloway 1998: 327), e questo è lo scenario che sta emergendo al crocevia dell’incontro tra scienze cognitive, neuroscienze, biologia evoluzionistica, e quei saperi antropologici, sociologici e storiografici che non si sono tirati indietro di fronte alla contemporanea «sfida della complessità» scientifica (Ceruti 2009. Cfr. Martin 1997; Martin 2000).

Bloch, M. & Sperber, D. (2002). Kinship and Evolved Psychological Dispositions: The Mother’s Brother Controversy Reconsidered. In Current Anthropology, 43 (5): 723-748

Ceruti, M. (2009). Il vincolo e la possibilità. Milano: Raffaello Cortina Editore.

DiMaggio, P. (1997). Culture and Cognition Annual Review of Sociology, 23 (1), 263-287 DOI: 10.1146/annurev.soc.23.1.263

Kraemer, R.S. (2011). Unreliable Witnesses: Religion, Gender, and History in the Greco-Roman Mediterranean. Oxford-New York: Oxford University Press.

Martin, L.H. (1997). Biology, Sociobiology and the Study of Religion: Two Lectures. In Religio. Revue pro religionistiku, V (1): 21-35.

Martin, L.H. (2000). Kingship and the Consolidation of Religio-Political Power during the Hellenistic Period. In Religio. Revue pro religionistiku, VIII (2): 151-160.

Sperber, D. (2010). The Guru Effect. In Review of Philosophy and Psychology, 1 (4): 583-592.

Sulloway, F.J. (1998). Fratelli maggiori, fratelli minori. Come la competizione tra fratelli determina la personalità. Milano: Mondadori. (ed. orig. 1996. Born to Rebel: Birth Order, Family Dynamics, and Creative Lives. New York: Pantheon Books).

Nessun commento:

Posta un commento