lunedì 13 gennaio 2014

Un testo divulgativo è "scienza"? O dove si discute di Voyager, dell'ANPRePS e di peer review


Uno dei maggiori centri europei di divulgazione e ricerca ai massimi livelli. No, non è qui da noi.
Central Hall @ NHM, London 2012 _CC-BY-NC-ND 3.0
Io sono spesso molto critico nei confronti di chi utilizza il termine "scienza" a sproposito nel mondo accademico e umanista. Di fatto, il mio è un giudizio in linea con la generale e francamente brutta situazione italiana (con poche ma significative e lodevoli eccezioni) nell'ambito della ricerca internazionale.

Da poco ho preso coscienza di quanto tale situazione, già abbastanza scoraggiante, sia solo la punta di un iceberg. Certo, già un pugno di anni fa La scienza negata di Enrico Bellone mi aveva chiarito alcuni punti basilari, poi delucidati ulteriormente da L'Italia intelligente di Francesco Cassata, dagli ultimi libri di Corbellini, di Pievani e di altri valenti studiosi di scienza e di storia della scienza, per arrivare oggi al Manifesto per la rinascita di una nazione (Science: The Endless Frontier) di Vannevar Bush (1944). Quest'ultimo è un agile ma interessante testo, pubblicato di recente in traduzione italiana per i tipi di Bollati Boringhieri, che mette a nudo (per contrasto) la pochezza intellettuale dei decisori politici locali e le risalenti contingenze storiche, nonché le causalità intrinseche, degli attori sociali implicati nella storia che più ci riguarda.

Situazione scoraggiante in partenza, si diceva, ma guardare adesso gli aberranti risultati generali, certe percentuali e, soprattutto, certe domande inerenti alla rilevazione dell'Anagrafe nazionale nominativa dei professori e dei ricercatori e delle pubblicazioni scientifiche (ANPRePS) del MIUR, è qualcosa di assolutamente stupefacente.

Premessa. Lo scopo del sistema di indagine era quello di stabilire
"i criteri generali per definire la scientificità di una pubblicazione; i requisiti minimi che qualificano, ai fini della loro collocazione nell’ANPRePS, le principali tipologie di pubblicazioni scientifiche (es. monografie, relazioni a convegno, prefazioni e postfazioni, curatele, recensioni, note a sentenza, commenti a norme, edizioni critiche, manuali, voci di enciclopedia e altre). Si chiederà [a professori ordinari, associati, ricercatori, ecc.] quali siano i criteri in base a cui una rivista possa considerarsi scientifica".
Ora, chiedere agli esaminandi (in potenza conflittualmente interessati) se ritengono certi tipi di pubblicazioni come scientifiche è aberrante già a priori. Questo è discutibile ma forse comprensibile nel dialogo (sordo) tra istituzioni e accademia... eppure non riesco a fare a meno di pensare che chiedere se la pubblicazione di testi divulgativi possa essere considerata scientifica è bizzarro (risposta: "Sì" per un tot. 76% degli intervistati), ma domandare se un testo rivolto alle professioni è considerabile scientifico è chiaramente assurdo e diabolico (risposta: "Sì" per il 69,3% dei partecipanti al questionario). Non era bastato il caso - e il putiferio conseguente - della Rivista di Suinicoltura come testo ufficialmente sancito dall'ANVUR per imparare qualcosa in merito?

Per giocare a carte scoperte si sarebbe anche potuto (più semplicemente) presentare agli esaminandi la fatidica domanda Che cos'è la scienza - e che cosa dobbiamo insegnare con metodo scientifico?, ma temo davvero le eventuali, mostruose (e fortunatamente ipotetiche) risposte in merito (sensu Vannoni Di Bella? Astrologia? Ermeneutica teologica? Psicoanalisi ferencziana? Critica postmodernista al concetto 'tipicamente' androcentrico della relatività einsteiniana? ecc. ecc.).
E i risultati, poi, lasciano di stucco.. nessun 100% nella sez. "Estremamente importante" raggiunto da doppio cieco, da revisione effettuata da revisori anonimi (possibile?). Ne escono fuori delle definizioni di "scienza" talmente labili, fragili e discutibili che palesemente tirano acqua al mulino degli esaminandi conflittualmente interessati e, di nuovo, puniscono quantitativamente (e qualitativamente) chi ha fatto veramente ricerca scientifica.
Come ha detto l'astrofisico Neil deGrasse Tyson
"Democracy can't work if you're voting on issues that have science foundations and you don't know any science related to that."
Ora, i principali mezzi contemporanei per attuare il normale e continuo autocontrollo nella comunità scientifica sono replicabilità dei risultati sperimentali, revisione paritaria da parte di chi condivide i modelli epistemologici e verificabili della ricerca e si attiene a rigorosi controlli scientifico-razionali (peer review), revisione cieca o a doppio cieco (ove l’identità dell’autore della ricerca viene nascosta ai revisori – e viceversa – per evitare di incorrere in pregiudizi potenzialmente nocivi per la revisione), disponibilità pubblica delle ricerche e degli apparati scientifici. Una volta pubblicato lo studio diventerà oggetto di indagine, di scrutinio e di verifica da parte di altri studiosi – e così via (Cfr. McCauley 2011). Se però i controllori condividono idee antiscientiste, ingenuamente o meno non ha importanza, ma applicano i suddetti criteri in modo esclusivamente superficiale per legittimarsi istituzionalmente, allora quis custodiet ipsos custodes?
Certo, nella scienza c'è la competizione e ci sono anche le frodi su cui tanto insistono i media. Ma non è questo il punto. Come ha scritto Robert N. McCauley nella sua monografia pubblicata nel 2011, la scienza si è dimostrata lo strumento migliore per regolare la competizione, surclassando il modello bancario e capitalistico di concorrenza: «gli scienziati hanno imparato molto tempo fa ciò che i capitalisti e i banchieri, in particolare, non sembrano essere stati mai in grado di apprendere, ossia che la competizione deve essere regolata con attenzione per assicurare trasparenza e correttezza all’interno del mercato, sia esso commerciale o scientifico». La scienza si è anche dimostrata il mezzo migliore per controllare l’onestà interna della ricerca: «[…] c’è sempre virtualmente un altro membro della comunità scientifica pronto a verificare e, nel caso, a smascherare i malfattori. […] Nessun’altra istituzione, nemmeno la giurisprudenza, è maggiormente impegnata nel garantire l’integrità del controllo interno. Tutte le evidenze suggeriscono che la scienza faccia un lavoro migliore riguardo al monitoraggio interno di qualunque altra istituzione pubblica della storia umana» (McCauley 2011: 274).

Lo dico da un po' di tempo, l'ho scritto nel mio articolo Tempi profondi. Geomitologia, storia della natura e studio della religione pubblicato qualche mese fa, ma ormai è palese. La filosofia dell'insegnamento e dei contenuti dell'accademia umanistica - quella di lontana origine crociana (ricordate il conflitto con Enriques?) e che ha dominato la cultura e l'ambiente intellettuale dal periodo interbellico a oggi (ma soprattutto nel dopoguerra) - ha fallito. Non che in quella corrente fosse tutto malvagio, anzi. Ma i danni finali causati da quel tipo di insegnamento, quelli di oggi, quelli che hanno fatto sì che la scienza fosse relegata in un cantuccio, quelli per cui se scrivi "Darwin" in antropologia culturale e storia i revisori leggono "razzismo", se scrivi "genetica" a Lettere e Filosofia leggono "iperdeterminismo di destra" (mentre dalla parte della destra tutto viene volutamente frainteso e distorto in modo nauseabondo), sono (probabilmente) insormontabili. Chiaro, sto esagerando, e tali discussioni culturali ci sono state anche altrove (penso alla sociobiologia nel contesto anglosassone degli anni Settanta). Il problema è che là queste discussioni teoriche sono state più o meno superate, a beneficio della ricerca che comunque continuava a produrre risultati. Qui, purtroppo, la rete di discussioni teoriche, e soprattutto di messa in discussione e di delegittimazione della scienza tout court (per cui l'uso stesso dell'aggettivo "scientifico" ha cominciato a comprendere inopinatamente un po' di tutto), ha avviluppato tutto in una rete strettissima - e asfissiante. Esagero, ma i contorni sono quelli. Se dubitate, affrontate la lettura impietosa di uno dei documenti o delle analisi storiografiche pubblicati e citati più sopra.

E aggiungerei che, nonostante gli sforzi per mascherare il quadro già decadente e sfatto agli sguardi altrui, per fingersi novelli Dorian Gray, non si può mentire di fronte alla realtà epistemica dei fatti: l'antirealismo magico e postmodernista delle istituzioni e degli interessi di pochi sta demolendo la ricerca e così facendo danneggia tutta la società. Lo si vede dalle statistiche relative al rapporto tra ricerca scientifica e stato del paese nell'ambito dei parametri della ricerca internazionale e dello stato di salute generale del paese. C'è da stupirsi, nello stato delle offese vergognose e degli scioccanti e rabbiosi insulti antiscientisti rivolti contro una ragazza affetta da malattie genetiche perché schieratasi on line a favore della sperimentazione animale?
Quando nei palinsesti televisivi - in primo luogo per conto dei decisori politici (o per compiacerli) - Voyager e le sue nefande cospirazioni aliene hanno soppiantato la divulgazione scientifica, Piero Angela e Giorgio Celli, Richard Attenborough e Carl Sagan (ma Cosmos è mai passato in chiaro da noi?), allora lì è iniziata la discesa. Inarrestabile.

Magari non ho capito bene io il senso di quel documento del MIUR. Possibile, e mi scuso doverosamente.
Prego sinceramente chiunque fosse interessato alla questione, di contribuire a chiarire le idee in merito, perché sono davvero perplesso e confuso (ma non felice, per citare una nota canzone italiana in voga nella seconda metà degli anni Novanta del secolo appena trascorso).

[NOTA: post originariamente scritto il 10 dicembre 2013]

Fonti:

http://www.cun.it/media/123064/rapporto_consultazione_cun.pdf

www.cun.it

McCauley, R.N. (2011). Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford

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