domenica 16 giugno 2013

La fragilità della scienza: Why Religion Is Natural and Science Is Not di Robert N. McCauley #8

Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011.
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Ultimo appuntamento con le conclusioni del volume di Robert McCauley (per le puntate precedenti si rimanda alla lettura dei seguenti post: 1, 2, 3, 4, 5, 6, 7). Partiamo subito in medias res:
La sopravvivenza della scienza non è scontata perché le basi della sua esistenza sono fragili.
Nel post precedente è stato introdotto il concetto che la scienza dipende dal sostegno istituzionale. Il problema fondamentale per la sopravvivenza della scienza, però, si gioca su più versanti. Li elenchiamo brevemente di seguito:
  1. la libertà della ricerca confligge con i poteri religiosi e politici e propone interpretazioni e soluzioni basate sui fatti ma non congeniali al potere istituzionale, alle pratiche industriali (come il fatto che gli allevamenti industriali di massa favoriscono la presenza di agenti patogeni resistenti agli antibiotici mentre sprecano ingenti quantitativi di risorse idriche), alla moltitudine di qualunque estrazione socio-culturale o paese che condivide credenze fallaci ma fortemente radicate (come la fissità delle specie) e agli interessi delle compagnie che inseguono il profitto capitalistico (si pensi agli studi che dimostrano l’effetto dei combustili fossili sul riscaldamento climatico) . Come ricorda McCauley, «Popper aveva sostenuto che la scienza è stata una delle principali forze nella storia che hanno condotto alla libertà dell’uomo» [1];
  2. i finanziamenti dei quali la scienza necessita possono essere forniti da società o aziende che hanno però come obiettivo principale la risoluzioni di problemi specifici dell’ente finanziatore medesimo (spesso legati all’incremento della produttività e/o del profitto dell’ente); inoltre i risultati delle ricerche in questi casi possono essere posti sotto brevetto e ritenuti proprietà dell’ente stesso (ecco perchée da comitati di scienziati e di addetti ai lavori sulla base del merito scientifico della proposta) [2]. La storia della scienza è imprevedibile (come la storia in generale) e contingente: non si può cercare di incanalare la ricerca, ma si può accompagnare la ricerca con uno «scetticismo disciplinato», rivolto anche nei confronti della scienza stessa [3];
  3. da circa trent’anni, in modo pressoché ininterrotto in ambito occidentale e in particolar modo in quello statunitense, si cerca sistematicamente di «ignorare, oscurare e sovvertire» i risultati e le prove della ricerca scientifica al preciso scopo di «prevenire la disseminazione delle teorie scientifiche prevalenti», di screditare il modello stesso della ricerca e lo standard qualitativo della stessa, allo scopo di imporre ideologie politiche e religiose [4]. La lista pressoché infinita di abusi a fini commerciali, statali e/o religiosi perpetrati ai danni della credibilità dell’impresa scientifica chiarisce la gravità di questo punto: 3.1. antievoluzionismo allo scopo di imporre a livello nazionale l’insegnamento complementare, o sostitutivo, del creazionismo religioso dell’Intelligent Design nelle scuole dell’obbligo; 3.2. negazionismo relativo ai gravi problemi ambientali causati dalla produzione chimico-industriale, dalla deforestazione e dalla costante riduzione della biodiversità; 3.3. pericolose prese di posizione riguardanti l’area medico-sanitaria, quali la negazione di problemi legati alla presenza del fumo passivo e di zuccheri e sale nei prodotti alimentari industriali, la limitazione dell’accesso ai prodotti contraccettivi, alla cosiddetta “pillola del giorno dopo” o all’aborto, e il suggerimento di pratiche inefficaci per limitare le malattie sessualmente trasmissibili (invece di sostenere, ad esempio, l’efficacia comprovata dei preservativi, se utilizzati correttamente); 3.4. limitazioni ideologiche alla ricerca bio-medica, quale la ricerca sulle cellule staminali (embrionali o no) [5].
  4. i danni di tali atteggiamenti sono ingenti, a livello sia internazionale che nazionale. L’impreparazione scientifica favorita a livello nazionale non può produrre una valida risposta alle ondate antiscientifiche tipiche di regioni nelle quali sono particolarmente diffuse istanze fondamentaliste religiose (si pensi ai tristi casi di antivaccinismo promossi di recente in Nigeria e in Pakistan, dove le campagne internazionali di vaccinazione sono state violentemente bloccate e/o ritenute espressione di una cospirazione occidentale anti-islamica) [6].
Alan Leshner, amministratore delegato dell’American Association for the Advancement of Science, ha scritto: «Ciò a cui stiamo assistendo è l’affermazione di ideologi i quali possiedono la capacità di influenzare il corso della scienza come mai prima d’ora. Essi dicono, “Non mi piace la scienza, non mi piace ciò che dimostra”, e quindi la ignorano. E siamo ad un punto, oggi e in questo paese, dove tale posizione può funzionare. L’integrità fondamentale della scienza è sotto assedio» [7]. A livello nazionale, McCauley cita i dati a sostegno del declino della preparazione scientifica degli studenti statunitensi (ma non è difficile traslare tali dati alla situazione italiana, ad esempio), la diminuzione degli studenti statunitensi che scelgono un cursus studiorum nelle discipline scientifiche, un declino nella presenza di studiosi statunitensi nelle pubblicazioni scientifiche e, soprattutto (il punto forse più grave) il progressivo venir meno del sostegno finanziario statale e privato in una moltitudine di aree della ricerca [8].

La conclusione del volume è chiara e semplice: la scienza è un’impresa cognitivamente fragile e dipende da un continuo sostegno da parte dei governi e delle società democratiche. I decisori politici devono fare scelte responsabili per permettere che le condizioni di fare scienza possano sussistere. Inoltre, gli immediati interessi privati e industriali nei confronti della ricerca devono essere tenuti a freno e controllati, mentre i dirigenti dovrebbero prendere in considerazione gli interessi (sociali e collettivi) a lungo termine.
Sono punti banali, forse, ma va ricordato ancora una volta che la scienza e i suoi prodromi nell’antica Grecia, in quanto impresa collettiva, sono stati già persi una volta e reinventati nel XVII secolo e.v. Purtroppo, come ammonisce McCauley, la scienza in quanto tale si può perdere nuovamente, specie se consideriamo le limitazioni cognitive che abbiamo già avuto modo di ricordare: «Una delle conseguenze della posizione che ho difeso [nel corso del libro] è che nessun aspetto particolare della natura umana sarà mai in grado di prevenire di nuovo la perdita della scienza» [9].

[1] Robert N. McCauley, Why Religion Is Natural and Science Is Not, Oxford University Press, Oxford-New York 2011, p. 280 (cfr. K. Popper, Conjectures and Refutations: The Growth of Scientific Knowledge, Routledge, London 1992, p. 102).
[2] Ibidem.
[3] Ivi, p. 281.
[4] Ivi, p. 282 (cfr. Chris Mooney, The Republican War on Science. Revised and Updated, Basic Books, New York 2005)
[5] Ivi, pp. 282-283; la lista qui presentata non è esaustiva.
[6] Ivi, p. 283.
[7] Ibidem (cit. presente in M. Specter, Political Science: The Bush Administration’s War on the Laboratory, in «New Yorker», March 13, 2006, pp. 58-69). La sottolineatura appartiene a McCauley.
[8] Ivi, p. 284.
[9] Ivi, p. 286.

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