lunedì 7 gennaio 2013

Vademecum cognitivo II. Lineamenti di psicologia evoluzionistica

Immagine: Mr_Pipo_02_Mind, da Wikipedia. Autore: Nevit
Il secondo post del “vademecum cognitivo” (qui la prima parte dedicata alle scienze cognitive) estratto, riadattato e sintetizzato dal mio libro (ultime fasi: si decide la copertina!). Questa volta presento un panorama (in termini molto generali) incentrato sulla psicologia evoluzionistica. Dato che la sezione finale sull’etologia cognitiva esondava dall’alveo dei contenuti del post ho deciso di spostare il testo in eccesso in un terzo post, da pubblicare a breve.

Buona lettura!

Post scriptum: questo post è dedicato a Andrea Cau del blog Theropoda, che ha avuto la pazienza, due anni e mezzo or sono, di spiegarmi con precisione e attenzione dove avessi sbagliato nella mia interpretazione riguardo al ruolo della storia nell'evoluzione. Nonostante il mio background di interessi scientifici, ero rimasto abbagliato da alcuni infondati pregiudizi dettati dall'accademia umanistica universitaria, e non ho difficoltà ad affermare di aver sostenuto all'epoca posizioni perlopiù imprecise. Come già ricordato altrove in questo blog, nel caso del mio giudizio in merito alle posizioni di Piattelli Palmarini e Fodor (delle quali ci occupiamo più sotto), ero incappato nel «pregiudizio dell’autorità», così definito da Michael Shermer: «la tendenza ad assegnare valore alle opinioni di un’autorità, specialmente nella valutazione di qualcosa di cui sappiamo molto poco» (da The Believing Brain: From Spiritual Faiths to Political Convinctions. How We Construct Beliefs and Reinforce Them as Truths, Robinson, London 2012, p. 323).
Ma la ricerca personale è anche fatta di errori e di sviste e, per fortuna, di lunghi studi, di approfondimenti e di chiarimenti; così va la scienza. Come ha notato Gilberto Corbellini,
«[…] i primi scienziati sperimentali erano consapevoli che, riportando anche gli esperimenti che non avevano avuto successo, ottenevano l’effetto di stabilire la loro credibilità come uomini obiettivi e umili […]. Dove i fallimenti resi pubblici confermano sia i limiti umani degli attori sia il potere degli spettatori nel controllare la reputazione dei protagonisti. […] La vulnerabilità degli attori e la loro trasparenza rispetto a pubblici fallimenti instillano fiducia nel sistema. Al contrario di quanto accade nei sistemi totalitari, che non possono permettersi di dimostrarsi incapaci in qualcosa» [da Scienza, quindi democrazia, Einaudi, Torino 2011, p. 37].
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Moduli e selezione

Il modello modulare proposto da Jerry Fodor (ossia una descrizione della struttura mentale nella quale determinati moduli sono deputati all’elaborazione di dati in modalità fisse e piuttosto rigide) occupa un ruolo centrale nella rivoluzione cognitiva successiva agli anni ’60 del Novecento. In sostanza, ha risposto all’esigenza di operare nel campo del funzionamento della mente (appannaggio storico della filosofia) con uno strumento scientifico.
Eppure questa sua idea, con tutti i corollari che conseguono, risale nella sua formulazione originaria ai primi anni ’80 del secolo scorso. Molte caratteristiche che componevano il quadro fodoriano sono state modificate o superate; spesso però la continua attenzione bloccata sul modello di base (in parte superato) e il ristagno di determinati punti di vista in tutto o in parte erronei hanno arrestato lo sviluppo e il confronto interdisciplinare. Tra i luoghi diventati comuni (anche all’interno del campo di studio) citiamo, ad esempio, la confusione terminologica riguardante l’uso spaziale del termine "modulo" all’interno delle zone cerebrali (la modularità sarebbe piuttosto una funzione e non una unità spaziale da identificare “topograficamente” nell’organo cerebrale) [1].
Buona parte dell’attuale psicologia evoluzionistica sembra difatti scontrarsi ancora con alcuni limiti concettuali e metodologici rilevanti [2]. Questo vale per la codificazione di un numero circoscritto e universalmente diffuso di meccanismi cognitivi per l’elaborazione dei dati e la risoluzione dei problemi che soggiacciono ai comportamenti umani, adattativamente filtrati dalla selezione naturale. In particolare, nella storiografia dei modelli psicologico-evoluzionistici si è visto all’opera quello che Stephen J. Gould e il genetista Richard Lewontin, in un celebre articolo risalente alla fine degli anni Settanta, hanno definito come
«un programma di ricerca che ha le sue radici in una nozione resa popolare da A.R. Wallace e A. Weismann (ma non […] da Darwin [il quale propendeva per un approccio pluralista. N.d.A.]) verso la fine del XIX secolo: quella della quasi onnipotenza della selezione naturale a forgiare le forme organiche e il migliore dei mondi possibili. Questo programma», 
continuano i due autori,
«considera la selezione naturale talmente potente e le costrizioni su di essa così poche, che la produzione diretta dell’adattamento attraverso il suo operato diviene la causa principale di tutte le forme organiche, delle funzioni e dei comportamenti» [3].
Non si può fare a meno di evidenziare che, proprio da una prospettiva evoluzionistica, la mente in generale non appare bloccata in moduli autonomi, ma rappresenta al meglio una «predisposizione flessibile all’apprendimento in contesti evolutivi diversi» [4], ossia, nelle parole di Telmo Pievani,
«più che un catalogo di “soluzioni” per problemi adattativi preesistenti, le facoltà mentali rappresentano, come aveva suggerito Darwin, una riserva di riadattamenti potenziali» [5]. 
La critica più comune rivolta nei confronti della psicologia evoluzionistica del passato recente è stata che i moduli che sono specifici per dominio (ossia, che trattano pacchetti di dati distinti anche all’interno della medesima facoltà; ad esempio la percezione dei volti è differente rispetto a quella del colore, ecc.) [6] non riuscirebbero a spiegare l’apprendimento di funzioni e azioni del tutto nuove: secondo il modello classico, solo input specifici possono essere elaborati in un particolare modulo.
Esisterebbe invece, come notano H. Clark Barrett e Robert Kurzban sulla scorta di Dan Sperber, una differenza tra input propri e reali:
«gli stimoli che incontrano i criteri del dispositivo [modulare] possono nondimeno essere elaborati, anche se non erano presenti nell’ambiente ancestrale [di origine]» [7].
Così, l’atto di guidare un’automobile può fare affidamento sui sistemi per evitare urti con altri oggetti, mentre i sistemi strategici di cognizione sociale possono essere ingaggiati durante le partite a scacchi e la distinzione differenziale degli oggetti esterni in quanto utensili o soggetti animati può essere utilizzata per identificare le parole e leggere [8].
Lo stesso Fodor ha ammesso i problemi della sua modellizzazione ideale [9]: quel tipo peculiare di modularità non avrebbe potuto spiegare che una parte piuttosto contenuta dei processi mentali. Altri psicologi evoluzionisti (tra cui, ad esempio, John Tooby e Leda Cosmides) hanno perciò proposto che, contrariamente alla tesi fodoriana per cui la modularità si ritiene essere limitata ai soli sistemi periferici (come la vista), una gran parte (o la totalità, a seconda dell’interpretazione) dei sistemi di elaborazione di dati della mente potrebbe essere di fatto modulare. Ad oggi sono stati proposti come rappresentanti di una “modularità massiva”: il rilevamento di impostori; il ragionamento; il linguaggio; la teoria della mente (che permette di adottare un atteggiamento intenzionale nei confronti di altri agenti); l’orientamento nello spazio; i sistemi emotivi quali paura, disgusto, gelosia, ecc.; il riconoscimento dei volti, ecc. [10]. Il concetto di modularità massiva presuppone l’esistenza di dozzine o centinaia di circuiti neurali distinti, che nel loro insieme mediano tutte le attività cognitive principali, ognuna delle quali si è evoluta per fronteggiare determinate attività dell’ambiente preistorico [11].
Nella sintesi offerta da Barrett e Kurzban tale punto di vista, che rifiuta l’annoso dibattito tra sostenitori delle conoscenze innate (geneticamente determinate) ed emergenza durante lo sviluppo, abbraccia invece la teoria dei sistemi di sviluppo (ovvero lo studio delle interazioni causali tra geni e ambiente nello sviluppo dal gamete all’organismo maturo) e afferma che, a differenza di un fraintendimento assai diffuso nella letteratura critica del passato recente, la modularità non equivale al determinismo genetico [12]. Anche se permangono i punti critici della psicologia evoluzionista, si tratta di una prospettiva euristicamente più promettente.

Gli errori di Fodor (e di Piattelli Palmarini)

Come si traduce questo complicato quadro per lo studioso interessato all’argomento? Documentarsi significa impegnarsi maggiormente per approfondire il dibattito corrente ed eludere i cul-de-sac imposti dall’aderenza dogmatica alle posizioni modulari [13], evitando di limitarsi ad azzerare l’intero contesto biologico-evoluzionistico per disfarsi di una cosa ritenuta fastidiosa (ma senza accorgersi di gettare via ciò che è fondamentale), come sembra abbia fatto Fodor. Difatti, una certa insoddisfazione dello studioso nei confronti degli esiti euristici della sua proposta modulare ha recentemente trovato espressione in una serie di critiche all’evoluzionismo tout court. Il caso è interessante, perché denuncia come una conoscenza sui generis del contesto evoluzionistico (e soprattutto della complessità delle varie interazioni storico-biologiche) possa tradursi in improprie generalizzazioni extra-disciplinari.
Un paio di anni fa Fodor ha dato alle stampe un volume scritto insieme a Massimo Piattelli Palmarini, intitolato Gli errori di Darwin [14]. In questo libro, i due autori tentano di subordinare interamente il mutamento biologico ai meri vincoli fisico-matematici (e genetici) dello sviluppo biologico degli organismi [15], come peraltro già fece D’Arcy W. Thompson (citato nel loro libro, ma senza mai fare diretti e precisi riferimenti alle pagine della sua fondamentale opera Crescita e forma, pubblicata nel 1917) [16]. Per quanto sia necessario dire che nessuno dei due autori neghi o contesti l’evoluzione, Piattelli Palmarini e Fodor ipotizzano che di fronte a ciò che essi reputano l’impossibilità di fornire cornici teoriche falsificabili per la selezione naturale e l’adattamento, sarebbe più corretto limitare tout court l’evoluzionismo ad una serie di narrazioni storiche ex post [17]. Essi ritengono che le «spiegazioni adattamentiste», ossia relative a discendenza con mutazioni più selezione naturale, applicate all’evoluzione da parte delle scuole neodarwiniste, non possano spiegare la teoria dell’evoluzione in quanto sistema “nomologico”.
Quello espresso da Piattelli Palmarini e Fodor è un giudizio piuttosto infelice, perché non solo sembra ancora avere come orizzonte di riferimento il fisicalismo determinista delle leggi fisiche, ma non considera l’epistemologia, il quadro delle scienze biologico-evoluzioniste e il modo con il quale procede la ricerca scientifica. Ora, il neodarwinismo (o più correttamente Sintesi Moderna) è un modello risalente alla metà del Novecento, e da allora è stato costantemente aggiornato, riadattato e integrato [18], rendendo perciò vano qualunque anacronistico tentativo di critica (segnaliamo in particolare lo sviluppo della Evolutionary Developmental Biology, in sigla Evo-Devo, la contingenza dei vincoli storici di Stephen J. Gould, la critica costruttiva dei concetti evoluzionistici di “adattamento” e “pre-adattamento” di Gould e Elisabeth S. Vrba, la doppia gerarchia e ai livelli biologici interagenti di Niles Eldredge, la complessità sistemica di Susan Oyama, l’interpenetrazione costruttiva fra organismi e ambienti di Lewontin, ecc.). È altrettanto necessario rilevare che Fodor e Piattelli Palmarini sbagliano obiettivo delle loro invettive, in quanto ciò a cui si rivolgono non sembra essere tanto l’evoluzionismo corrente, nella sua formulazione più vasta all’interno del paradigma evoluzionistico contemporaneo, ma quella particolare conformazione teorica che si affida sovente al determinismo panselezionista, più o meno limitante, già stigmatizzato nella citazione ricordata di Gould e Lewontin.
Non è compito del presente post la confutazione passo a passo dei vari fraintendimenti che animano il testo o riassumere tutti gli aggiornamenti più o meno recenti apportati al paradigma evoluzionistico [19]. Ci limitiamo a notare il ruolo della retrodizione nello studio della biologia evoluzionistica (ossia, predizioni basate sul metodo scientifico e rintracciate in conseguenze già accadute nel passato, con ripercussioni testabili sul presente): come ha scritto Niles Eldredge,
«noi prediciamo pattern di storia evolutiva che dovremmo scoprire se le nostre congetture sulla natura dei processi evolutivi sono corrette» [20].
Queste parole rappresentano una delle migliori risposte ai dubbi espressi, nel passato recente, sullo statuto epistemologico dell’evoluzione anche in ambito scientifico-filosofico; si pensi ad esempio al giudizio inizialmente formulato da Karl Popper (1902-1994), comunque riveduto e corretto in un secondo tempo (un fatto a cui solitamente viene dato poco risalto, preferendo invece la pars destruens popperiana) [21].
In conclusione, come ha sagacemente notato H.C. Barrett, mentre Piattelli Palmarini e Fodor elaboravano le loro spropositate critiche filosofiche alla selezione naturale,
«i batteri intorno al mondo continuavano ad evolvere la resistenza agli antibiotici. […] Credo che il mondo sarebbe un posto migliore se i batteri leggessero più filosofia» [22].
[1] H. Clark Barrett e Robert Kurzban, Modularity in Cognition: Framing the Debate, in «Psychological Review», 113, 2006, pp. 628-647; p. 641.
[2] Cfr. Telmo Pievani, Introduzione alla filosofia della biologia, Laterza, Roma-Bari 2010 (2005 1a), in part. pp. 217-222; David J. Buller, Adapting Minds: Evolutionary Psychology and the Persistent Quest for Human Nature, The Massachusetts Institute of Technology Press, Cambridge 2005.
[3] Gould, Stephen J. e Richard Lewontin, I pennacchi di San Marco e il paradigma di Pangloss. Critica del programma adattazionista, tr. it. di Marco Ferraguti, disponibile on line presso Piccola Biblioteca on line (www.einaudi.it), Einaudi, Torino 2001, pp. 1-28; p. 6 (art. pubbl. orig. come The Spandrels of San Marco and the Panglossian Paradigm: A Critique of the Adaptationist Programme, in «Proceedings of the Royal Society of London B», 205, 1979, pp. 581-598).
[4] T. Pievani, Introduzione alla filosofia della biologia, cit., p. 222 (l’autore fa qui riferimento a Paul E. Griffiths, What Emotions Really Are: The Problem of Psychological Categories, The University of Chicago Press, Chicago 1997).
[5] Ibidem.
[6] Maurizio Cardaci, Psicologia evoluzionistica e cognizione umana, il Mulino, Bologna 2012, p. 98.
[7] H. Clark Barrett e Robert Kurzban, Modularity in Cognition: Framing the Debate, in «Psychological Review», 113, 2006, pp. 628-647; p. 635.
[8] Ibidem.
[9] Cfr. J. Fodor, La mente non funziona così. La portata e limiti della psicologia computazionale, Laterza, Roma-Bari 2001 (ed. or. The Mind Doesn’t Work That Way: The Scope and Limits of Computational Psychology, The Massachusetts Institute of Technology Press, Cambridge 2000).
[10] H.C. Barrett e R. Kurzban, Modularity in Cognition, cit., p. 630.
[11] Cfr. M. Cardaci, Psicologia evoluzionistica e cognizione umana, cit., passim.
[12] H.C. Barrett e R. Kurzban, Modularity in Cognition, cit., p. 639.
[13] Seguire i presupposti fodoriani, senza riferimenti ulteriori alla letteratura cognitivista e psicologico-evoluzionistica, può condurre alla comprensione che i moduli formulati secondo norme non conformi alle tesi fodoriane originarie possano apparire «intrinsecamente contradditor[i], perché non hanno il livello di determinatezza necessario per poter essere tradotte in dispositivi meccanici»; in Felice Cimatti, Il possibile e il reale. Il sacro dopo la morte di Dio, Codice edizioni, Torino 2009, p. 21, nota n. 48. Il rischio, come nota l’autore, è proprio quello di incorrere in un potenziale vicolo cieco: «Ma se un modulo non è simulabile da un computer, allora non è un modulo, e se non è un modulo cade l’analogia mente-computer, e con essa tutta l’impostazione delle scienze cognitive».
[14] M. Piattelli Palmarini e J. Fodor, Gli errori di Darwin, Feltrinelli, Milano 2010 (ed. or. What Darwin Got Wrong, Farrar, Straus and Giroux, New York 2010).
[15] Ivi, p. 47.
[16] Cfr. ivi, pp. 89, 91 e 98. Per un inquadramento generale del pensiero di Thompson si rimanda a Stephen J. Gould, D’Arcy Thompson and the Science of Form, in «New Literary History», 2, 2, Winter 1971, pp. 229-258.
[17] M. Piattelli Palmarini e J. Fodor, Gli errori di Darwin, cit., pp. 185 e 209.
[18] Per approfondire si rimanda a Massimo Pigliucci e Gerd B. Müller (eds.), Evolution: The Extended Synthesis, The Massachusetts Institute of Technology Press, Cambridge 2010 e Telmo Pievani, An Evolving Reseach Programme: The Structure of Evolutionary Theory from a Lakatosian Perspective, in Aldo Fasolo (ed.), The Theory of Evolution and Its Impact, Springer-Verlag, Berlin 2011, pp. 211-228.
[19] Una revisione critica del volume si può leggere in Paul Myers, Fodor and Piattelli-Palmarini Get Everything Wrong, presso Pharyngula, 23 febbraio 2010. Due recensioni esaustive sono: Massimo Pigliucci, A Misguided Attack on Evolution, in «Nature», 464, 18 March 2010, pp. 353-354 e T. Pievani, Darwin, la terza via dell’evoluzione, in «Corriere della sera», 23 marzo 2010, p. 31. Ci limitiamo a segnalare l’analisi sul rapporto tra «prevedibilità invariabile» e «singolarità contingente» nelle scienze naturali, e nella paleontologia in particolare, presente in Stephen J. Gould, La struttura della teoria dell’evoluzione, ed. it. a cura di Telmo Pievani, Codice edizioni, Torino 2003, pp. 1666-1680 (cit. a p. 1672) (ed. orig. The Structure of Evolutionary Theory, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge-London 2002). Per motivi di spazio rimandiamo inoltre a Niles Eldredge, Ripensare Darwin. Il dibattito alla Tavola Alta dell’evoluzione, Einaudi, Torino 1999 (ed. orig. Reinventing Darwin: The Great Debate at the High Table of Evolutionary Theory, John Wiley & Sons, New York 1995) e Sean B. Carroll, Infinite forme bellissime. La nuova scienza dell’Evo-Devo, Codice edizioni, Torino 2006 (ed. orig. Endless Forms Most Beautiful: The New Science of Evo Devo and the Making of the Animal Kingdom, W.W. Norton & Co., New York 2005).
[20] Niles Eldredge, Le trame dell’evoluzione, a cura di T. Pievani, Raffaello Cortina Editore, Milano 2002, p. 252, nota n. 13 (ed. or. The Pattern of Evolution, W.H. Freeman & Co., New York 1999).
[21] Frank J. Sonleitner, What Did Karl Popper Really Say About Evolution?, in «Creation/Evolution», 6, 2, Summer 1986, pp. 9-14.
[22] H.C. Barrett, The Wrong Kind of Wrong: A Review of What Darwin Got Wrong by Jerry Fodor and Massimo Piatelli-Palmarini, in «Evolution and Human Behavior», 32, 201, pp. 76-78; p. 78.

Artt. indicizzati in Research Blogging:
Barrett HC, & Kurzban R (2006). Modularity in cognition: framing the debate. Psychological review, 113 (3), 628-47 PMID: 16802884
Gould, S. (1971). D'Arcy Thompson and the Science of Form New Literary History, 2 (2) DOI: 10.2307/468601
Pievani, T. (2012). An Evolving Research Programme: The Structure of Evolutionary Theory from a Lakatosian Perspective. In Fasolo, Aldo (ed.), The Theory of Evolution and Its Impact, Springer-Verlag, Berlin, 211-228 DOI: 10.1007/978-88-470-1974-4_14
Pigliucci, M. (2010). A misguided attack on evolution Nature, 464 (7287), 353-354 DOI: 10.1038/464353a
Sonleitner, Frank J. (1986). What Did Karl Popper Really Say About Evolution? «Creation/Evolution Journal», 6 (2), 9-14
Barrett, H. Clark. (2011). The Wrong Kind of Wrong: A Review of What Darwin Got Wrong by Jerry Fodor and Massimo Piatelli-Palmarini. «Evolution and Human Behavior», (32), 76-78
Gould, S., & Lewontin, R. (1979). The Spandrels of San Marco and the Panglossian Paradigm: A Critique of the Adaptationist Programme Proceedings of the Royal Society B: Biological Sciences, 205 (1161), 581-598 DOI: 10.1098/rspb.1979.0086

2 commenti:

  1. Grazie mille a te Andrea! ;-)
    Appena riesco a buttar giù un po' di idee nuove per il blog (questi sono estratti riadattati dal mio testo), ci sarà un post-amarcord dedicato alla storia di Geomythologica (giusto per ricordare e archiviare).

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