venerdì 20 luglio 2012

Il naturalista e lo scrittore: Darwin secondo McEwan

Charles R. Darwin, presso il Natural History Museum di Londra. Fotografia dell'autore, estate 2012 [licenza Creative Commons Attribuzione - Non commerciale - Non opere derivate 3.0 Italia (CC BY-NC-ND 3.0)]
ResearchBlogging.org Il parere dello scrittore

Lo scrittore britannico Ian McEwan, già apprezzato autori di romanzi (pubblicati in Italia da Einaudi e, ahimè, a me ignoti) nonché membro di Edge, scrive sul numero di luglio de Le Scienze [1]:
«Il pensiero scientifico del XIX secolo aveva indugiato per decenni al margine di idee evoluzionistiche, e se Darwin - o Wallace - non avesse espresso compiutamente l'idea dell'evoluzione per selezione naturale, altri lo avrebbero fatto. Le stesse realtà biologiche erano sotto gli occhi di tutti, e la tassonomia era in uno stadio avanzato» (ibid., p. 45)
Più avanti annuncia quanto segue: 
«Una teoria secondo cui tutte le specie sono imparentate, compresi gli esseri umani, era una sfida alla dignità, e all'inizio la chiesa trovò molto difficile accettare l'idea che le specie non fossero fisse, immutabili, create da Dio non molto tempo fa» (ibid., p. 46).
Ciò nonostante, secondo McEwan,
«la cosa più interessante sulla pubblicazione di L'Origine delle specie è la rapidità con cui venne accettata» (ibid.) [NOTA: come emerso durante una conversazione informatica con Andrea Cau, qui "accettazione" si riferisce all'approvazione del manoscritto da parte dell'editore o alla diffusione della teoria colà espressa? In entrambi i casi la frase è contenutisticamente e sintatticamente ambigua]
e poco oltre, associando la teoria della relatività a quella elaborata da Darwin, scrive che «l'accettazione accelerata dei lavori di Darwin e Einstein nel 1858 e nel 1915 non si può spiegare del tutto con la loro efficacia, o verità», quanto piuttosto - rifacendosi ad una definizione di E.O. Wilson - «con l'eleganza [...] [o] bellezza di una specifica generalizzazione scientifica» (ibid.).

I punti principali e i nodi del contendere

Sono affermazioni che disorientano per la loro leggerezza, e per il fatto di essere state ospitate sull'edizione nazionale di una delle più note e diffuse riviste internazionali di divulgazione scientifica, nonché uno dei periodici ad ampia tiratura più antichi e rispettabili degli Stati Uniti (Scientific American festeggerà il 26 agosto di quest'anno il 167° anniversario dalla fondazione). Anticipo immediatamente che non è mio interesse giudicare l'opera letteraria di McEwan, che non conosco.  Sottolineo inoltre che non rientra nelle finalità di questo post esprimere un giudizio sulla qualità letteraria dell'articolo da lui firmato. La sola preoccupazione del presente contributo è di fornire alcuni strumenti di base per contestualizzare e correggere alcune affermazioni di McEwan su Darwin e sulla storiografia dell'evoluzionismo biologico.
Dunque, i principali punti di nostro interesse contenuti nel saggio di McEwan  sono riassumibili come segue:
  1. la teoria di Darwin è implicitamente rappresentata come un insieme compatto e un modello monolitico piuttosto semplice; 
  2. per lo scrittore britannico, la teoria dell'evoluzione per selezione naturale di Darwin sarebbe stata accettata in toto quasi immediatamente dopo la comunicazione congiunta delle relazioni di Wallace e Darwin presso la Linnean Society nel 1858. Darwin, che stava lavorando privatamente al suo progetto da una ventina d'anni, «arriv[ò] prim[o]» e fu «travolt[o] dalla celebrità e da profondo rispetto», mentre «Wallace fin[ì] per languire in una relativa oscurità» (ibid., p. 45). Eccettuando una certa originalità di Darwin (non specificata), nessuna differenza viene delineata tra le proposte dei due studiosi;
  3. McEwan interpreta il processo che soggiace alla storia delle idee come unilineare, teleologico e quasi prestabilito: possiede una sola direzione (paradossalmente stabilita a posteriori) - ciò che è accaduto doveva accadere per forza, qualcuno avrebbe compiuto prima o poi quella particolare azione in quel particolare momento storico;
  4. secondo McEwan, «arrivare primi, essere originali, è di grande importanza nella scienza» come nell'arte (ibid., p. 45). Ciò nonostante, eccettuando il merito dell'originalità artistica anche nella scienza, «non dovrebbe [...] essere tanto importante, in termini di pura razionalità e di progresso scientifico, chi [...] arrivò per primo» alla formulazione di una teoria convalidata dai dati o da una particolare scoperta; detto altrimenti, «in termini del bene comune, potrà mai essere importante se sia stato Joseph Priestley o Antoine Lavoisier a scoprire l'ossigeno, se sia stato Isaac Newton o Gottfried Leibniz a inventare l'analisi matematica?» (ibid., p. 44).
Di seguito, quindi, trovano spazio le precisazioni storiografiche in merito alle opinioni espresse da McEwan.

Organizzazione del modello teorico darwiniano

Per quanto sia sostanzialmente vero che l'idea dell’evoluzione all'epoca non fosse né nuova né particolarmente innovativa di per sé (per quanto formulata sovente in chiave teologica), ciò che si rivelò essere determinante per la proposta darwiniana fu la sua configurazione particolare, che rappresentò effettivamente uno spartiacque storico. Lungi dal rappresentare una teoria monolitica, come McEwan sembra prospettare, il pensiero di Darwin si compone dall'articolazione di cinque tesi autonome, così sintetizzate dal biologo evoluzionista Ernst Mayr (1904-2005): 
  1. l'evoluzione in quanto tale, ossia la modificazione delle specie nel corso del tempo, 
  2. la discendenza a partire da una antenato comune, 
  3. la speciazione popolazionale, ossia la discendenza delle specie da specie preesistenti, 
  4. la gradualità dell'evoluzione e, infine, 
  5. la selezione naturale.
Questi cinque punti, combinati con il rifiuto dell'idea di progresso assoluto e con l'affermazione del ruolo dei processi stocastici (ossia casuali), rappresentarono una sfida nei confronti di un canone grosso modo omogeneo di filosofie teologiche e secolari che si rafforzavano a vicenda e che in alcuni casi erano antiche di almeno duemila anni. Tra le prime, le principali stabilivano l'esistenza di un mondo immodificabile, l'esistenza di una creazione (o di più creazioni indipendenti che facevano seguito a catastrofi naturali, a seconda delle interpretazioni geologiche), la fede in un creatore saggio e benevolo e l'antropocentrismo, secondo il quale il mondo intero sarebbe stato creato per l'uomo. 
Le ideologie secolari allora in voga, ed esplicitamente contrarie all'evoluzione darwiniana, erano invece l'essenzialismo (ossia l'esistenza di insiemi ideali e discreti che corrispondevano sic et simpliciter alle cose del mondo fisico), il fisicalismo e il determinismo tipico delle scienze fisico-matematiche, che si esprimevano per leggi immodificabili (perlopiù reinterpretate in un'ottica teologica), e la teleologia nelle sue varie formulazioni (in una chiave spesso teologica). Solo Darwin, e Wallace in maniera indipendente (e con alcuni distinguo teorici), erano arrivati a formulare quel campione di ipotesi che, a partire dalla constatazione dell'azione del tempo profondo in ambito biologico, avrebbe posto le basi per la futura indagine biologico-evoluzionistica e genetica, e solo nella formulazione darwiniana il tempo profondo della storia della vita sulla Terra scalzava definitivamente le antiche credenze sulla biologia dallo schema dell'immutabilità religiosamente stabilita [2].

«Più fischi che applausi»: un confronto con le idee di Wallace, l'indifferenza iniziale e i fraintendimenti ottocenteschi

Non è comunque corretto subordinare il pensiero di Darwin e quello di Wallace allo stendardo di un ipotetico "spirito del tempo dell'idea evoluzionistica", insieme a chissà quanti altri pensatori. Kevin Padian ha giustamente sottolineato come «l'idea che la teoria dell'evoluzione fosse "nell'aria", e che se Darwin non l'avesse pensata quando lo fece, qualcun'altro lo avrebbe fatto», non sia altro che uno dei molti miti presenti nella letteratura su Darwin [3]. Nonostante l'dea della trasmutazione delle specie avesse avuto sostenitori eccellenti tra i quali Buffon, Lamarck, Erasmus Darwin e Robert Chambers, «nessuno aveva proposto un meccanismo plausibile per spiegare come questa potesse aver luogo» [4].
Inoltre il pensiero evoluzionistico di Wallace possedeva peculiarità che lo distanziavano da quello di Darwin. Benché anche Wallace si fosse ispirato a Malthus e fosse giunto alla concezione della divergenza delle specie attraverso l'associazione della variazione alla selezione e alla lotta per l'esistenza, come ha sintetizzato recentemente Telmo Pievani, esistono comunque differenze significative già nel manoscritto presentato con l'abbozzo darwiniano  nel 1858: «[...] l'approccio è più funzionalista, gli inadatti sono eliminati direttamente dall'ambiente e meno dalla competizione con altri individui, l'evoluzione sembra avere una chiara direzione di progresso e di equilibrio, non vi è traccia del meccanismo di selezione sessuale e l'analogia con la selezione artificiale verrà dopo [...]» [5]. Non è nemmeno del tutto vero che Wallace «languì in una relativa oscurità» come ha scritto McEwan, ma in questo caso l'intreccio di contesto e storiografia ci porterebbe troppo lontano.
In secondo luogo, la teoria di Darwin non fu "accettata" dall'establishment accademico nel biennio 1858-'59: venne accolta con indifferenza prima e con «più fischi che applausi» poi, per citare il titolo di un capitolo della biografia di Desmond e Moore dedicata a Darwin [6]. Nel maggio del 1859 il presidente della Linnean Society poté affermare che l'anno era trascorso senza esser riuscito ad annoverare alcuna particolare scoperta rivoluzionaria [7]. Nei decenni che seguirono la pubblicazione dell’opera di Darwin, inoltre, furono rari i casi di adozione integrale del modello di ricerca stabilito da Darwin, e di gran lunga superiori in numero gli adattamenti, o i fraintendimenti, indirizzati verso filosofie ortogenetiche o finalistiche [8].
McEwan, isolando Darwin dal contesto scientifico dell'epoca e adottando un'anacronistica ottica contemporanea imperniata sul mondo dei media e dello star system, cade nella rettifica a posteriori quando scrive che all'epoca Darwin fu travolto da «celebrità e profondo rispetto». Nemmeno una parola per gli insulti, la violenza delle caricature e del giudizio morale che la cultura mainstream della seconda metà dell'Ottocento gli rivolse (e in particolare il nascente panorama dei quotidiani nazionali)? No. Eppure ancora oggi (r)esiste purtroppo un problema di ordine concettuale che riguarda l’uso e il giudizio di valore implicito nella desueta definizione di evoluzione in quanto “progresso” indefinito o te(le)ologicamente orientato.
Infine, l'affermazione astratta di McEwan secondo la quale la tassonomia fosse all'epoca ad «uno stadio avanzato» non significa nulla neppure nell'ottica della sua filosofia della storia: organizzare secondo principi discreti il regno del vivente (fino a tempi recenti secondo il discernimento del naturalista), non equivale a comprendere la storia e i legami evoluzionistici intrinseci. Detto in altri termini: se una data cultura possiede regole di classificazione biologica (quale non le ha?), ciò non significa che quella cultura abbia elaborato un concetto di filogenesi o che possieda una conoscenza sufficiente della documentazione paleontologica.

La storia delle idee nel mondo di Pangloss

Darwin ha alle spalle generazioni di osservatori, scrittori, interpreti (religiosi e non) del mondo naturale, che arrivano fino alle primissime manifestazioni della volontà di spiegare i fenomeni naturali inscritte nelle mitologie del mondo. Ma ciò non equivale a dire che qualcuno al tempo di Darwin sarebbe arrivato a formulare una teoria equivalente per filo e per segno alla sua. Il naturalista inglese avrebbe potuto benissimo non pubblicare mai il suo testo fondamentale, e l'evoluzionismo moderno avrebbe potuto avere origine da una cornice storico-culturale completamente diversa, oppure restare ancorato ad una concezione teleologica del vivente, tanto in voga negli ambienti della teologia naturale.
Per una catena di (tragiche) contingenze storiche, così come non abbiamo, per esempio, uno stato mesoamericano nativo autonomo, erede diretto delle entità statuali precolombiane (il quale avrebbe potuto rappresentare oggi un esempio di statualità del Nuovo Mondo non colonizzata dagli europei), non abbiamo una completa teoria dell'evoluzione non darwiniana e non occidentale (anche se nel corso del tempo alcuni modelli geomitologici si sono avvicinati ad un concetto, per certi versi, evolutivo). Il merito di Darwin, catalizzatore di tutta una risalente tradizione europea, è stato quello di introdurre definitivamente il concetto di “storia” come concatenazione inscindibile di eventi contingenti, che si sviluppa sulla scala temporale del tempo profondo (un concetto mutuato dalla geologia, esteso oggi alla cosmologia e alla storia dell'universo), in un ambito in precedenza visto soprattutto come fissista e teologico, scardinandolo dai vincoli dogmatici.
La concezione della storia delle idee di McEwan, invece, risente di un soggiacente indirizzo teleologico della storia tout court. Nella sua ottica lo sviluppo delle conoscenze scientifiche è orientato dallo spirito del tempo che sembra essere sempre favorevole ad un progresso indefinito: i nomi di chi ha fatto ricerca in un dato periodo, per lo scrittore britannico, non hanno valore di per sé, perché comunque le scoperte sarebbero state effettuate in quel medesimo periodo, da altre persone. La svalutazione della casualità, delle storie individuali degli studiosi, dei loro percorsi scientifici che dettano le inclinazioni nella ricerca, il non riconoscere la contingenza degli sviluppi della storia delle idee (e nelle discipline storiche in generale), le intricate concatenazioni di spunti, vincoli, frequentazioni, vissuto e quant'altro dimostrano invece una scarsa attenzione al contesto della storiografia (e dell'evoluzione stessa) [9], e sembrano quasi suggerire un'apologia del plagio scientifico o artistico.
In fin dei conti, a posteriori è facile per tutti trovare i motivi (quali che siano, spesso errati) che hanno reso quella scoperta particolare, quell'evento sportivo, quell'elezione politica, quel disastro ambientale o addirittura la stessa evoluzione del vivente o dell'uomo, inevitabile e prevedibile, quasi orientata. Si tratta di una predisposizione cognitiva che Michael Shermer definisce come «hindsight bias», ossia «la tendenza a ricostruire il passato per farlo combaciare con le conoscenze presenti» [10].

Tra arte e scienza: originalità dell'autore come vezzo e massimo comune divisore?

A differenza di quanto affermato da McEwan, i nomi degli scienziati e degli studiosi non vengono ricordati per un mero vezzo in comune con l'arte,  per il lezioso riconoscimento della primogenitura e dell'originalità di una teoria (che comunque può avere il suo peso), ma perché quella particolare scoperta o idea o teoria avrebbe potuto non vedere mai la luce. Avrebbe potuto essere declinata in modo completamente differente, modificando quindi tutta la storia successiva, con ricadute a cascata sull'intera storia delle idee. Avrebbe potuto trovare espressione precoce o tardiva rispetto al contesto storico (è successo), o trovare espressione in riviste o circoli poco frequentati dal mainstream scientifico (è successo anche questo), mancando o ritardando in entrambi i casi l'incontro con la notorietà e la diffusione nell'ambito della ricerca (ammessa la sua validità). D'altra parte, lo stesso può dirsi per l'arte.
In ultima istanza, nonostante l'insistenza di McEwan sul parallelo tra arte e scienza basato sull'originalità, quest'ultima da sola non garantisce mai l'aderenza alle evidenze; è una delle basilari differenze tra pensiero deduttivo e induttivo (anche se i confini non sono mai così netti). Come scrisse nel 1918 l'astronomo britannico A.C. Crommelin in merito alla teoria degli universi-isola (in seguito convalidata): «[...] le nostre conclusioni nella scienza devono essere basate sulle evidenze, e non sul sentimento. Ma possiamo esprimere la speranza che tale sublime concezione riesca a passare le prove costituite da ulteriori esami» [11]. Sono questi «ulteriori esami» che vagliano il sapere e costruiscono il patrimonio scientifico. Grazie a questa incessante catena di controlli lo schema darwiniano, cambiato e migliorato nel corso del tempo, è ancora integro, sostenuto da sempre più ampie prove genetiche (a partire dagli studi coevi di Mendel, che Darwin non conosceva), paleontologiche e biologiche, a conferma della validità delle originarie supposizioni di Darwin.

«Il più grande storico che sia mai vissuto»

Il merito di Darwin va ben al di là del primato di una certa eleganza di scrittura, di un'abilità artistico-letteraria di esposizione o di una paternità teorico-scientifica. Frank J. Sulloway ha persino proposto di considerare Darwin come «il più grande storico che sia mai vissuto» [12]. Perché? Ci limitiamo in questa sede ad elencare due risposte. 
Innanzitutto perché, tra le altre cose, il naturalista di Shrewsbury (la sua città natale) era consapevole del processo cognitivo per cui tendiamo a minimizzare le prove e le evidenze che emergono come incongruità rispetto alle nostre aspettative, al pattern dominante, o anche alla visione del mondo condivisa e accettata (magari supinamente), tanto da annotare nella sua Autobiografia l'abitudine di segnare tutti i casi e gli elementi che sembravano contraddire le sue idee. Per questo motivo Darwin ha atteso due decenni raccogliendo materiale scientifico: per testare, verificare, costruire e sostanziare la sua idea.
In secondo luogo con Darwin, alla fine dell'epoca delle esplorazioni geografiche, le colonne d'Ercole della conoscenza venivano spostate più lontano di quanto si potesse mai immaginare: la storia dell'uomo, del pianeta e, più tardi, quella del cosmo si spalancavano così di fronte alla ricerca come nuove terre incognitae da esplorare, ma infinitamente più vaste di quanto il pensiero storico precedente abbia mai potuto immaginare. Le centinaia di milioni di anni della geologia (una misura presto corretta in miliardi) e gli anni luce del lookback time (ossia la distanza tra un punto di osservazione della volta celeste sulla Terra e il tempo che i fotoni emessi da una fonte luminosa nello spazio hanno impiegato a giungere alla nostra retina) si apprestavano a diventare la nuova frontiera del tempo profondo [13].
In tale modo, la storia naturale è uscita definitivamente dalle speculazioni naturalistiche tipiche dell'atteggiamento hobbistico e amatoriale tanto diffuso fino ad allora e dall'aderenza all'auctoritas dei testi antichi, sfociando in un rinnovato modo di procedere e in una nuova e straordinaria avventura scientifica.

[1] Ian McEwan, L'originalità della specie, in «Le Scienze. Edizione italiana di Scientific American», 527, luglio 2012, pp. 40-46 (art. pubbl. orig. come The Originality of the Species, presente on line sul sito del quotidiano The Guardian, 23 marzo 2012).
[2] Ernst Mayr, Un lungo ragionamento. Genesi e sviluppo del pensiero darwiniano, Bollati Boringhieri, Torino 1994, pp. 48-60 (ed. or. One Long Argument: Charles Darwin and the Genesis of Modern Evolutionary Thought, Harvard University Press, Cambridge 1991).
[3Kevin Padian, Ten Myths about Charles Darwin, in «BioScience», 59, 9, 2009, pp. 800-804; p. 803.
[4] Ibid.
[5] Telmo Pievani, Introduzione a Darwin, Roma-Bari, Laterza 2012, p. 68.
[6] E. Mayr, Un lungo ragionamento, cit., passim. Cfr. K. Padian, Ten Myths..., cit., p. 803: a differenza della discendenza comune (comunque declinata in modo diverso a seconda dei punti di vista), all'inizio il meccanismo della selezione naturale fu spesso osteggiato.
[7] Niles Eldredge, Darwin. Alla scoperta dell'albero della vita, Codice edizioni, Torino 2006, p. 59 (ed. or. Darwin: Discovering the Tree of Life, W.W.  Norton & Co., New York 2005); I. Bernard Cohen, Revolution in Science, The Belknap Press of Harvard University Press, Cambridge-London 2001, pp. 286-287 (prima ed. 1985).
[8] Adrian Desmond e James Moore, Vita di Charles Darwin, Bollati Boringhieri, Torino 2009, cap. 33, pp. 557-571 (ed. or. Darwin, Michael Joseph, London 1991; Penguin Books, London 2009). Su Wallace cfr. ibid., in part. pp. 539-540.
[9] Cfr. su questo tema Susan Oyama, Il cordato accidentale: la contingenza nei sistemi di sviluppo, in ead., L'occhio dell'evoluzione. Una visione sistematica della divisione fra biologia e cultura, ed. it. a cura di T. Pievani, Fioriti, Roma 2004, pp. 116-128 [ed. or. Evolution's Eye: A Systems View of the Biology-Culture Divide, Duke University Press, Durham 2000; art. pubbl. or. come The Accidental Chordate: Contingency in Developmental Systems, in «South Atlantic Quarterly», 94, 2, 1995, pp. 509-526; ripubbl. in Barbara Herrnstein Smith e Arkady Plotnitsky (eds.), Mathematics, Science, and Postclassical Theory, Duke University Press, Durham 1997, pp. 118-133].
[10Michael Shermer, The Believing Brain: From Spiritual Faiths to Political Convinctions. How We Construct Beliefs and Reinforce Them as Truths, Robinson, London 2012, pp. 307-308 (ed. or. The Believing Brain: From Ghosts and Gods to Politics and Conspiracies. How We Construct Beliefs and Reinforce Them as Truths, Times Books-Henry Holt, New York 2011).
[11A.C.D. Crommelin, Are the Spiral Nebulae External Galaxies?, in «Journal of the Royal Astronomical Society of Canada», 12, 1918, p. 46; cit. da M. Shermer, The Believing Brain, cit., p. 371.
[12] Ibid., p. 400. La cit. di Sulloway proviene da F.J. Sulloway, Born to Rebel: Birth Order, Family Dynamics, and Creative Lives, Pantheon Books, New York 1996, p. 336 (ed. it. Ribelli nati. Ordine di nascita, dinamiche di famiglia e vite creative, Fratelli maggiori, fratelli minori. Come la competizione tra fratelli determina la personalità, Mondadori, Milano 1998).
[13] Cfr. M. Shermer, The Believing Brain, cit., pp. 359-360 e, in generale, i capp. 13 e 14.

Articolo indicizzato su Research Blogging tramite: Kevin Padian (2009). Ten Myths about Charles Darwin. BioScience, 59 (9), 800-804 DOI: 10.1525/bio.2009.59.9.10

giovedì 5 luglio 2012

Epilogo: scienza è democrazia

Terza cultura italiana: storia di un incontro mancato. Parte V

Come ha scritto in un saggio recente Gilberto Corbellini, «la manipolazione e la censura della scienza» diventano parte integrante e concause (quando non fattori principali) del «processo di declino civile ed economico» dei paesi occidentali (Corbellini ha indagato il caso italiano), e che «in generale, quando qualche sistema di interessi e potere aspira a limitare le libertà individuali all'interno di un sistema liberale, esso interviene sulla scienza, e cerca di controllarne le informazioni e conoscenze che possono scaturire dalla libera ricerca» [1]. Questo ha luogo anche manipolando in chiave ideologica lo stesso processo scientifico, con risultati inefficaci per la ricerca e con ricadute infauste o terribili sulla società e sulla popolazione; si pensi al caso Lysenko in Russia o agli esperimenti scientifici condotti sotto il nazismo o anche, mutatis mutandis e su un piano differente, alle farneticazioni deliranti e offensive di R. De Mattei, l'ex vicepresidente del CNR, che non troppo tempo fa ha utilizzato fondi pubblici per finanziare un convegno creazionista e la pubblicazione dei relativi atti.
L'unico modo per permettere una maggiore condivisione della scienza, dei suoi risultati e dei suoi indirizzi di indagine e approfondimento, i cui risultati restano controintuitivi rispetto alla cognizione generale di tutti i giorni e difficili da comprendere ad un occhio scarsamente allenato, è lo stesso su cui prima C.P. Snow e poi il grande Carl Sagan (1934-1996; Cornell University) hanno insistito - e con loro tanti altri esponenti della ricerca e della divulgazione: un maggiore investimento nell'educazione scientifica dei cittadini, un ripensamento generale delle conoscenze al fine di permettere un'ampia diffusione degli strumenti di comprensione e una riorganizzazione delle materie impartite nelle scuole dell'obbligo (a quando un'ora di Biologia evoluzionistica e Paleontologia nelle scuole medie, sia inferiori che superiori?). Cittadini maggiormente preparati su questioni scientifiche potranno prendere parte attiva nei dibattiti culturali ed esprimere un voto informato (e non manipolato dalla longa manus di interessi politici, ideologici, teologici, corporativi, finanziari e industriali) in occasione di grandi impegni democratici, come può esserlo ad esempio un referendum su una qualsiasi pressante questione medica, ambientale o energetica.
Mi piacerebbe concludere questo excursus con una citazione esemplare da Il mondo infestato dai demoni di Sagan, opera che ritengo essere uno dei capolavori della divulgazione scientifica recente: «i valori della scienza e della democrazia concordano, anzi in molti casi sono indistinguibili [...]. La scienza conferisce potere a chiunque si dia la pena di impararla (anche se a troppi è stato sistematicamente impedito di farlo). Essa prospera sul libero scambio di idee, che ne è anzi una condizione indispensabile; i suoi valori sono antitetici al segreto. Essa non ha alcun punto di vista speciale o alcuna posizione privilegiata. Tanto la scienza quanto la democrazia incoraggiano opinioni non convenzionali e discussioni vigorose. Entrambe richiedono ragioni adeguate, argomentazioni coerenti, criteri rigorosi di prova nonché onestà. La scienza è un modo per denunciare i bluff di coloro che avanzano pretese infondate di sapere, contro la religione applicata a sproposito. Se siamo fedeli ai suoi valori, può aiutarci a smascherare la menzogna. Essa ci fornisce la possibilità di correggere i nostri errori cammin facendo. [...] Ma la democrazia può anche essere sovvertita per mezzo dei prodotti della scienza più di quanto abbia mai sognato alcun demagogo preindustriale» [2]. Per quanto riguarda quest'ultimo punto, la decostruzione, quasi come il falsificazionismo e la "società aperta" popperiana (per quanto la decostruzione operi soprattutto sul piano delle filosofiche convinzioni personali), rappresenta non solo un sano esercizio di smascheramento storiografico, ma anche un potente strumento di difesa contro chi tenta di imporre punti di vista non sostenuti da prove sufficientemente valide.

[1] Gilberto Corbellini, Scienza, quindi democrazia, Einaudi, Torino 2011, p. 155.
[2] Carl Sagan, Il mondo infestato dai demoni. La scienza e il nuovo oscurantismo, Baldini & Castoldi, Milano 1997, pp. 79-80 (ed. or. The Demon-Haunted World. Science as a Candle in the Dark, Random House/Ballantine Books, New York 1995/1997).