venerdì 30 marzo 2012

La sfida di Derrida: indecostruibilità, democrazia e scienza

Terza cultura italiana: storia di un incontro mancato. Parte IV
[Jacques Derrida; ritratto di PabloSecca - Wikipedia]
Uno dei pregiudizi più perniciosi in ambito filosofico (soprattutto nel campo della filosofia della scienza) è quello che grava sul decostruzionismo di Jacques Derrida (nato Jackie; 1930-2004). Come abbiamo visto per l'equivoco che confonde "evoluzione" con "progresso", persistente in modo implicito nella storia delle discipline umanistiche (e in modo esplicito in quelle teologiche) e nella storia della scienza, anche qui sussiste una sorta di malinteso generale, che vale la pena di porre in evidenza per constatare quanto la sua tenace (r)esistenza sia controproducente e dannosa per una migliore comprensione degli strumenti concettuali filosofici.
Sgombriamo subito il campo dai fraintendimenti: molti studi postmoderni hanno promosso e diffuso colpevolmente una deplorevole diffidenza nei confronti della scienza tout court. Il loro modello di riferimento? Eccolo: se le interpretazioni sono tutto ciò che si dire della realtà, allora la scienza è un'interpretazione. In quanto tale essa, nelle varie discipline che la compongono, si può demolire, rivelando così gli impliciti schemi composti da pregiudizi ideologici, sociali, androcentrici o quant'altro che la sostengono [1]. Questo tipo di pensiero è stato applicato indiscriminatamente e in modo assurdo, fino a giungere a considerare la teoria della relatività come sessualmente connotata in senso maschilista [2]. Tali eccessi però c'entrano ben poco con colui che è ritenuto il padre fondatore del filone decostruzionista/postmoderno, ossia Derrida. Non si può in effetti giudicare uno strumento dall'uso (improprio) che se ne può fare.
Innanzitutto, la decostruzione derridiana non equivale affatto ad un relativistico smantellamento concettuale [3]. Il decostruzionismo, nelle intenzioni originarie di Derrida, contemplava il «tentativo di esplicitare le contrapposizioni del discorso filosofico, mettendo in luce le rimozioni su cui si istituiscono, i giudizi di valore che incorporano spesso inavvertitamente o almeno implicitamente, e dunque, di rivelare la struttura totale della nostra razionalità» [4]. L'accento è sul "discorso filosofico", non  certo sull'uso del decostruzionismo come arma da rivolgere contro la ricerca scientifica.
La fase seguente è uno smontare quasi industriale dei vari pezzi che compongono le interpretazioni ideologiche e che le strutturano, per comprendere come funziona il meccanismo che anima quel particolare concetto. Per fare ciò si segue un modello, una progettazione alla rovescia (tema comune anche alle scienze cognitive) che a sua volta dovrebbe soprattutto mostrare «connessioni [e rivelare] cornici» [5]. In tal modo sarebbe possibile mantenere visibile la filigrana, per così dire, del quadro concettuale e rileggere il concetto specifico in esame, e la sua formazione, in modo psicoanalitico lato sensu: «se le strutture sono forme di rimozione, si rivelano attraverso delle resistenze, proprio come il profilo di una società e di una forma di vita si delinea nei tabù che la contraddistinguono» [6].
Ad ogni modo, esiste un punto in particolare sul quale vale la pena di insistere. Per Derrida esiste una sorta di limite di fronte al quale non si può procedere e tale è il concetto di «democrazia» («non c’è democrazia senza decostruzione, non c’è decostruzione senza democrazia» e, ancora, «La democrazia è l’autos dell’auto-limitazione decostruttiva») [7] o, nell’interpretazione di Maurizio Ferraris, il concetto di “giustizia”, ossia «l’indecostruibile […] di fronte alla realtà e al suo valore» [8]. Ferraris si distingue inoltre dall'esegesi postmoderna generale (secondo la quale il testo e le sue interpretazioni sono tutto ciò che si possa dire della realtà) per aver inserito nell'interpretazione del pensiero derridiano il concetto di inemendabilità riguardo all'esistenza fisica dei documenti: «inemendabile» è un concetto che Ferraris impiega per definire che «la cosa [la documentazione, a qualunque tipologia essa appartenga. NdA] non può essere corretta così come possiamo correggere le nostre credenze e i nostri saperi» [9]. Torneremo più avanti sull'importanza di questo concetto.
Ora, il concetto derridiano di democrazia interseca quello di scienza intesa come continua ricerca: entrambi  i temi rappresenterebbero «la condizione indecostruibile di ogni decostruzione, certo, ma una condizione a sua volta in decostruzione» [10]. Il filosofo francese parla di un vero e proprio impegno preso nei confronti della ragione o della democrazia, ossia «la critica, [la] messa in questione […] della sovranità (in quanto posizione performativa o potere) in nome della sua stessa condizione di possibilità (l’apertura all’evento, all’altro, ecc.)» [11], perché, nelle medesime parole di Derrida, «questa è l’unica possibilità per pensare, razionalmente una cosa come un avvenire e un divenire della ragione. È anche, non dimentichiamolo, ciò che dovrebbe liberare tanto il pensiero quanto la ricerca scientifica dal controllo e dal condizionamento da parte di vari poteri o istituzioni politici, militari, tecnoeconomici, capitalistici» [12]. E, aggiungeremmo, te(le)ologici.
Poiché il “presente” dello stato della democrazia, di ogni democrazia, rappresenta una conquista graduale e non assoluto dato una volta per tutte, così come non lo è neppure la scienza [13], Derrida considera la democrazia, e perciò per traslato, diremmo noi, la scienza, come «a venire», come agente in costante formazione. Insomma, la frantumazione di una sola ottica generale in nuove prospettive non può che essere salutare poiché, come nella ricerca scientifica, crea punti di vista relativi che fondano un nuovo punto di partenza per la ricerca: se la ricerca, come la democrazia, «venisse sostituita da una verità assoluta non avrebbe più ragion d’essere» [14]. Da questo punto di vista non possiamo che sottoscrivere l’affermazione per cui la «decostruzione [è] immediatamente costruzione di qualcosa di diverso» [15].
Ora, tirando le somme del discorso, cosa c'entra tutto questo discorso filosofico con la storia dell'evoluzionismo?
  1. Il decostruzionismo è uno strumento che può aiutare a porre sotto esame critico le presunte rivendicazioni metafisiche di determinate correnti filosofiche che agiscono anche nella ricerca scientifica, rivelando le reali ed implicite aspirazioni sociali o politiche; nel caso creazionista, può permettere la messa a nudo di un filtro religiosamente (o teleologicamente) connotato nell'interpretazione dei materiali scientifici - i quali invece sono eticamente neutri (si dovrebbe notare che la traduzione politica di uno schema creazionista può avere conseguenze sociali e ricadute sull'intera comunità: si pensi per ipotesi ai fondi stanziati per certi filoni della ricerca scientifica da un governo mosso da convinzioni creazioniste);
  2. l'accento posto sulla vigilanza derridiana di fronte alle manipolazioni teleologiche riecheggia anche in un simile appello di Stephen Jay Gould. Questi aveva auspicato una maggiore attenzione da parte della comunità scientifica nei confronti dei rischi connessi ad un uso distorto, estremistico e socio-politico di determinati concetti evoluzionistici. Di fronte al rischio sempre presente di appropriazioni ideologiche dei modelli scientifici, «la miglior difesa che uno scienziato possa opporre», ha ricordato Gould, «[…] risiede in una combinazione che sembra associare due caratteristiche eterogenee, ossia vigilanza e umiltà: vigilanza per combattere la minaccia di un uso improprio [dei concetti scientifici. NdA]; umiltà nel riconoscere che la scienza non può, in linea di principio, trovare le risposte alle questioni morali» [16]. [Edit] Ad ogni modo Gould, che scriveva in un periodo ancora non dominato dall’esplosione a livello mondiale del creazionismo e dell’Intelligent Design, credeva in una coesistenza rispettosa dei due magisteri separati della scienza e della religione. Alla luce della situazione contemporanea, forse potremmo oggi intendere l’appello all’umiltà escludendo che la scienza non possa fondare una morale (l’aumento delle conoscenze scientifiche permette di regolare in modo normativo il comportamento etico-sociale), e prendendo atto del fatto che, purtroppo, le manipolazioni sociali e politiche, le distorsioni mediatiche e le giustificazioni ed interpretazioni extra-epistemiche presenti nel campo della ricerca scientifica ed accademica in generale rendono il passaggio tra scienza e etica né automatico né palese [End Edit];
  3. l'enfasi sull'inemendabilità del documento è capitale nell'analisi dell'importanza della paleontologia all'interno del paradigma storico. I fossili sono un documento inemendabile della catena contingente di eventi evolutivi che ha segnato la storia della vita sulla Terra;
  4. Il decostruzionismo può essere utile anche in tutte le analisi critiche delle storiografie appartenenti al secolo appena trascorso e non solo (umanistiche e, soprattutto, scientifiche), cooperando per smascherare le narrazioni teleologiche e finalistiche spesso in voga in svariati ambiti disciplinari. Si pensi solamente all’idea di un progresso continuo verso l’uomo, e in particolare verso una determinata conformazione culturale euro-occidentale, in quanto «espressione confortevole dell’inevitabilità e superiorità umana» [17].
[Edit] L'associazione tra ricerca scientifica e tecnologia viene spesso data per scontata ma, a ben guardare, non appare fondata su valide giustificazioni. Come ha ricordato Telmo Pievani durante una recente lectio magistralis presso l'Aula Magna del Rettorato dell'Università di Torino, se pensiamo alla ricerca e alla produzione tecnologica cinese e alla situazione politica e sociale locale, viene naturale pensare che la "scienza" (qui intesa sovrapposta in toto all'etichetta "tecnologia") non equivalga a nessun concetto di democrazia proveniente dalla filosofia politica. Il problema risiede solamente nell'intrusione semantica di "tecnologia" all'interno del concetto di "ricerca scientifica", che sono e restano invece due ambiti differenti. Difatti, la ricerca scientifica e la tecnologia sono state dissociate sulla base di presupposti cognitivi, e presentando una serie di dati convincenti, da Robert N. McCauley nel suo recente volume intitolato Why Religion Is Natural and Science Is Not, (Oxford University Press, Oxford-New York 2011). Ai fini del nostro intervento, ci preme dunque sottolineare i punti in comune tra i modelli ideali di scienza e democrazia, sui quali torneremo nel prossimo (e ultimo) contributo della serie [End Edit].
L'equazione derridiana tra scienza e democrazia è non solo accettata (in modo implicito) ma vivificata dalla stessa attività di ricerca scientifica. Chi crede che l'attuale conoscenza evoluzionistica sia "solo" una teoria, che questa debba essere assolutamente rifondata sulla teologia naturale, sull'Intelligent Design o quant'altro, che la società sia piagata dall'assenza di senso trascendente a causa del darwinismo e dei suoi mali, si pone esplicitamente al di là di un discorso basato sui principi di verificabilità delle asserzioni, rifiutando per fede di fornire l'onere delle prove positive.
Si può fare scienza e ricerca anche senza condividere in toto determinati assunti per motivi di fede o di credenze personali; la scienza non richiede di aderire ad alcun dogma o credo, sia esso religioso o laico. Ciò che non si può fare è mettere in discussione gli ultimi secoli di ricerca scientifica, né imporre un filtro dogmatico o teologico alla ricerca. Ben vengano i contributi radicali e radicalmente critici, il dissenso costruttivo, il dubbio che contribuisce a chiarire. Sono tutti valori che una robusta democrazia dovrebbe incoraggiare, ma sia nella politica (almeno idealmente) sia nella ricerca scientifica queste proposte devono sempre presentare un contesto e le prove delle affermazioni che si vogliono sostenere. Se non pensate di poter porre fiducia nell'evoluzione (che certamente non necessita della vostra fiducia perché è un dato di fatto), allora potreste smettere tranquillamente di utilizzare gli antibiotici [18].

continua...

[1] Cfr. ad es. Luigi Luca Cavalli Sforza, L’evoluzione della cultura, Codice edizioni, Torino 2010, p. 44 (1a ed. 2004).
[2] Per approfondire sugli eccessi antiscientifici che hanno caratterizzato certi studi postmoderni si rimanda ai seguenti testi: Alan Sokal e Jean Bricmont, Imposture intellettuali. Quale deve essere il rapporto tra filosofia e scienza?, Garzanti, Milano 1999 (ed. or. Impostures intellectuelles, Odile Jacob, Paris 1999 2a ed., 1997 1a ed.); A. Sokal, Beyond the Hoax: Science, Philosophy and Culture, Oxford University Press, Oxford-New York 20102 (2008 1a ed.). L'accusa rivolta alla teoria della relatività, secondo la quale la celebre equazione einsteiniana sarebbe sessualmente connotata, è espressa da Luce Irigaray in Parler n’est jamais neutre, Éditions de Minuit, Paris 1987, p. 110 (ed. it. Parlare non è mai neutro, Editori Riuniti, Roma 1991; cit. nel vol. di A. Sokal e J. Bricmont).
[3] Cfr. ad es. Giulio Giorello, Se ti spiegassi la scienza?, intervista di Marco Alloni, Aliberti editore, Roma 2011, p. 73. Nel vol. cit. emerge una posizione critica, un po' stereotipata, nei confronti di Derrida, secondo la quale «il relativismo sarebbe da considerare il nostro "punto d'arrivo"» (ivi; in nota il decostruzionismo derridiano viene anche indicato come un movimento filosofico «volto a mettere in evidenza l'assenza di una verità originaria»). In realtà, il giudizio dovrebbe piuttosto rivolgersi al vasto movimento postmoderno che esula, in una parte più o meno grande, dalle premesse derridiane.
[4] Maurizio Ferraris, Introduzione a Derrida, Laterza, Roma-Bari 2008 (3a ed.), p. 55 (1a ed. 2003). 
[5]  Ivi, p. 78. Per le scienze cognitive cfr. ad es. Paolo Legrenzi, Prima lezione di scienze cognitive, Laterza, Roma-Bari 2010 (2a ed. riveduta e ampliata; 2002 1a ed.).
[6] M. Ferraris, Introduzione a Derrida, cit., p. 56.
[7] J. Derrida, Politiche dell’amicizia, Raffaello Cortina, Milano 1995, risp. pp. 131 e 132 (ed. or. Politiques de l’amitié, Galilée, Paris, 1994).
[8] M. Ferraris, Spettri di Derrida, in id., Ricostruire la decostruzione. Cinque saggi a partire da Jacques Derrida, Bompiani, Milano 2010, pp. 15-42; p. 39.
[9] Id., Inemendabilità, ontologia, realtà sociale, in «Rivista di estetica», n.s., XLII, 19,1, 2002, pp. 160-199; p. 161.
[10] J. Derrida, Spettri di Marx. Stato del debito, lavoro del lutto, e la nuova Internazionale, Raffaello Cortina, Milano 1994, p. 40 (ed. or. Spectres de Marx. L’État de la dette, le travail du dueil et la nouvelle Internationale, Galilée, Paris 1993).
[11] M. Senatore, In nome dell’incondizionato o la congiura decostruttiva, in F. Vitale e M. Senatore, L’avvenire della decostruzione, Il melangolo, Genova 2010, pp. 125-146, p. 140.
[12] J. Derrida, Stati canaglia. Due saggi sulla ragione, Raffaello Cortina, Milano 2003, p. 205; ripreso in M. Senatore, In nome dell’incondizionato…, cit., p. 142.
[13] Cfr. G. Giorello, Se ti spiegassi la scienza?, cit., pp. 76-77.
[14] Ivi, p. 73.
[15] M. Ferraris, Una recensione finta, in id., Ricostruire la decostruzione. Cinque saggi a partire da Jacques Derrida, Bompiani, Milano 2010, pp. 43-64; p. 60 (pubbl. or. come Jacques Derrida’s Writing and Difference, in «Topoi», 26, 2007, pp. 279-286).
[16] Sulla vigilanza derridiana cfr. J. Derrida, La scrittura e la differenza, Einaudi, Torino 1990, p. 42 (ed. or. L’écriture et la différance, Seuil, Paris 1967). Per la cit. di Gould cfr. Stephen J. Gould, The Most Unkidest Cut of All, in id., Dinosaur in a Haystack: Reflections in Natural History, Jonathan Cape, London 1996, pp. 309-319; p. 318 (pubbl. or. in «Natural History», 5, 1992, pp. 2-11).
[17] S.J. Gould, La vita meravigliosa. I fossili di Burgess e la natura della storia, Feltrinelli, Milano 2007, p. 22 (1990 1a ed.; ed. or. Wonderful Life: The Burgess Shale and the Nature of History, W.W. Norton & Co., New-York-London 1989). Un'interessante galleria illustrata e commentata riguardo il tema dell'antropocentrismo nelle sue varie manifestazioni paleontologiche si trova in Fabio Manucci,  Antropocentrismo e paleoillustrazione, 12 ottobre 2011, disponibile presso http://agathaumas.blogspot.it/2011/10/antropocentrismo-e-paleoillustrazione.html; un commento di Andrea Cau sul mammalocentrismo è reperibile al seguente linkhttp://ultrazionale.blogspot.it/2008/11/invidia-della-mammella.html.
[18] Telmo Pievani, Cialtroneschi attacchi di “L’Avvenire” contro MicroMega e la scienza, 24 feb. 2012, reperibile on line presso http://www.pikaia.eu/EasyNe2/Notizie/Cialtroneschi_attacchi_di_%E2%80%9CL%E2%80%99Avvenire%E2%80%9D_contro_MicroMega_e_la_scienza.aspx