mercoledì 29 febbraio 2012

La storia naturale come modello "disumano"? L'attacco all'evoluzionismo

Meccanismo di un orologio cronografo di fine '800. L'analogia dell'orologiaio è un luogo comune, ereditato dalla teologia naturale, per descrivere l'esistenza di un progetto intelligente (ortogenetico e/o teleologico) dietro l'evoluzione. Immagine da «Nature», 22 Sep. 1887, p. 485; modificata da un file disponibile su Wikipedia.
Terza cultura italiana: storia di un incontro mancato. Parte III

La volta scorsa abbiamo detto dell'errore che nasce quando si evoca l'equazione tra "evoluzione e "progresso", mentre prima ancora ci eravamo soffermati sull'influenza negativa di Croce sulla cultura scientifica italiana del primo Novecento.
Al quadro aggiungiamo ora la generale (con)fusione tra le lodevoli posizioni antifasciste e antirazziali, condivise da Croce, e la subordinazione dello studio delle scienze naturali ad un indirizzo filosofico e/o teologico. Si tratta di un punto basilare, sfruttato negli ambienti creazionisti. Semplificando un complicato intreccio di temi storiografico-ideologici, l'argomento cardine viene articolato come segue. Poiché il concetto di evoluzione è ortogenetico e implicitamente razziale, dalla religione (in genere abramitica) viene escluso il razzismo perché tutti gli uomini sono uguali di fronte a Dio. Dal mondo corrotto del darwinismo proverrebbero invece le genealogie culturali dell'esecranda politica razzista novecentesca [1]. Si tratta di un argomento ridicolo, che decontestualizza totalmente l'avversario che si vuole delegittimare e lo confonde con il suo contrario in campo sociale (la lotta spenceriana del più forte più il panselezionismo haeckeliano).  A partire da queste false premesse è logico confondere il modello scientifico di Darwin con il male della discriminazione razziale o di chissà quali altri turpitudini. Senonché tali presunte genealogie nulla possiedono di darwiniano, passano semplicisticamente sotto silenzio il groviglio dei motivi ideologici e religiosi che hanno troppo spesso alimentato i genocidi, la cancellazione e la distruzione di quell'altro individuo portatore di una cultura differente, e rivelano solamente le discutibili agende politiche che le animano. Troppo spesso ci si dimentica che il rifiuto darwiniano dell’idea di un progresso assoluto e l’affermazione del ruolo dei processi stocastici (ossia casuali) rappresentarono una sfida nei confronti di un canone grosso modo omogeneo di filosofie teologiche e secolari che si rafforzavano a vicenda e che in alcuni casi erano antiche quanto l'intera tradizione culturale occidentale. Inoltre, come ha sostenuto Roger Griffin, è fondamentale «l’idea elementare che “la nascita del fascismo” non [possa] essere espressa esclusivamente nei termini di una storia delle idee [biologico-evoluzioniste. NdA]: i movimenti e gli eventi nascono dall’unione di forze ideologiche con condizioni strutturali o “materiali”» [2]. In fin dei conti, si tratta di un’operazione ideologica e riduzionista perché si limita a sovrapporre macchiettisticamente al darwinismo il concetto di progresso ortogeneticamente orientato al "meglio" (ossia, l'uomo) e a ridurre il vasto dibattito scientifico interno ad alcune correnti che, se corrisponde bene alla costruzione identitaria dell'altro da sé in quanto "nemico" (semplificandolo e delegittimandolo), non è sostenibile in sede storiografica e documentaria. Merita una menzione l’icastico giudizio di Telmo Pievani: «la letteratura trash che cerca, ai limiti della decenza, di infangare la teoria dell’evoluzione associandola alla più cupa chirurgia sperimentale nazista e alla più cupa alienazione umana […], cade in realtà nello stesso errore del darwinismo sociale che condanna: sovrapporre presunte implicazioni morali, sociali e politiche di una teoria scientifica alla sua validità nel merito» [3]. Un panorama esauriente della critica religiosa secondo la quale l’evoluzionismo porterebbe alle più grandi sciagure morali dell’umanità (dal darwinismo sociale all’eugenetica alle politiche razziali) è stato di recente offerto e - soprattutto - completamente smantellato da Steve Stewart-Williams [4]. In ultima istanza, come ha proposto R.A. Peters, le teologie creazioniste si inscriverebbero sotto l’etichetta di «teodicea naturale» perché, secondo l’autore, tutte le varie branche che compongono il vasto movimento cristiano tenterebbero di riscrivere la storia naturale allo scopo di assolvere Dio dall’accusa di aver creato un mondo carico di estinzioni naturali, dolore o morte [5]. I problemi sorgono quando, come nei vari creazionismi letterali o improntati all’Intelligent Design, si vogliono oltrepassare i limiti disciplinari di un ragionamento teologico, legittimo nell'ambito della fede personale, per monopolizzare e indirizzare in chiave politico-sociale l’intero discorso scientifico ed evoluzionistico.

Schema di un confronto/scontro

Vale veramente la pena di rispondere a chi non conosce l'ambito scientifico che critica? D'altra parte anche Croce sembrava fondere in un unicum un certo pensiero evoluzionistico ortogenetico in voga all'epoca con un'idea assoluta di progresso discriminante e in fin dei conti moralmente disumana. Di fatto, dalla constatazione dell'inefficacia euristica dell'ortogenesi come ipotesi scientificamente sostenibile consegue anche il venir meno di qualunque considerazione crociana (ammesso, e non concesso, che l'opinione del filosofo di Pescasseroli possa avere un qualche valore scientifico). Fatto ancora più notevole, gli attacchi più virulenti rivolti contro la biologia evoluzionistica provengono spesso da ferventi credenti (molti recenti testi divulgativi si sono già occupati di questi temi [6]). In una splendida lettera congiunta che S.J. Gould e Richard Dawkins avrebbero dovuto inviare alla New York Review of Books (ma redatta solo da Dawkins; Gould era già gravemente malato) viene affermato che riconoscere una sfida storiografica o scientifica nelle rivendicazioni creazioniste significa riconoscere implicitamente che l'interlocutore sia portatore di una tesi valida da dibattere: «questo darà agli spettatori inconsapevoli l'idea che vi siano in ballo argomenti su cui davvero vale la pena di discutere e che in un certo qual modo i contendenti giochino ad armi pari» [7]. Così non è; per questo bisognerebbe evitare di fornire pubblicità gratuita che agli occhi del lettore possa inconsapevolmente presentare il punto di vista creazionista, nelle sue varie denominazioni, come avallato in modo esplicito dall’establishment accademico e scientifico. Ovvero, come una prospettiva che propone modelli validi e alternativi alla visione normativa in voga nell’accademia. Detto ciò, deve invece continuare la discussione in sede storiografico-critica delle accuse morali, siano esse creazioniste o più generalmente ideologiche. Ignorare significa abbassare la guardia. Solamente pochissimi anni fa si è assistito al tentativo di eliminare l'insegnamento dell'evoluzione dai banchi di scuola per imposizione ministeriale [8]. Mai dare per scontate le proprie conquiste culturali.
Prima di abbandonare il campo è necessario perciò smontare le critiche a Darwin e metterne in luce il rimosso, ossia le componenti extra-metafisiche.

continua...

[1] Quest'ultimo punto è stato affrontato in numerosi contributi di Stephen Jay Gould; ci limitiamo a segnalare il magistrale The Most Unkidest Cut of All in Dinosaur in a Haystack, Harmony Books, New York 1995, pp. 309-319 (ed. it. Come un dinosauro nel pagliaio, Mondadori, Milano 1997 [Edit] La  traduzione italiana, pur annunciata all'epoca dall'editore, non ha mai visto la luce; cfr. Paolo Coccia e Marco Ferraguti, Bibliografia delle opere di S.J. Gould tradotte in italiano, 14 gennaio 2013, su Pikaia.eu. Il portale dell'evoluzione, p. 13 [End Edit]; nella più recente raccolta franc. Le coup le plus cruel in Antilopes, dodos et coquillages. Ultimes réflexions sur l'histoire naturelle, Éditions du Seuil, Paris 2008, pp. 411-427).
[2] R. Griffin, recensione di Haeckel’s Monism and the Birth of Fascist Ideology. By Daniel Gasman, in «English Historical Review», 116, 467, 2001, pp. 683-685; p. 685. Cit. in Matthew Day, A Spectre Haunts Evolution: Haeckel, Heidegger, and the All-Too-Human History of Biology, in «Perspectives in Biology and Medicine», 53, 2, Spring 2010, pp. 289-303; p. 298.
[3] T. Pievani, Creazione senza Dio, Einaudi, Torino 2008, p. 95.
[4] Steve Stewart-Williams, Il senso della vita senza Dio. Prendere Darwin sul serio, edizione italiana a cura di Maurizio Mori, Espress edizioni, Torino 2011, cap. 12, Ricostruire la morale, pp. 269-309 (ed. or. Darwin, God and the Meaning of Life: How Evolutionary Theory Undermines Everything You Thought You Knew, Cambridge University Press, Cambridge 2010).
[5] R.A. Peters, Theodicic Creationism: Its Membership and Motivations, in Martina Kölbl-Ebert (ed.), Geology and Religion: a History of Harmony and Hostility, The Geological Society, London 2009, pp. 317-328.
[6] Ad es., per restare in ambito italiano, Michele Luzzatto, Preghiera darwiniana, Raffaello Cortina Editore, Milano 2009; in part. pp. 48-49. Si rimanda inoltre a Michael Ruse, Myth 23: That “Intelligent Design” Represents a Scientific Challenge to Evolution, in R.L. Numbers (ed.), Galileo Goes to Jail and Other Myths about Science and Religion, Harvard University Press, Cambridge-London 2009, pp. 206-214 e Ronald L. Numbers, The Creationists: From Scientific Creationism to Intelligent Design. Expanded Edition, Harvard University Press, Cambridge-London 2006 (1a ed. 1992), in part il cap. 17, Intelligent Design, pp. 373-398, e il cap. 18, Creationism Goes Global, pp. 399-431.
[7] R. Dawkins, Il cappellano del diavolo, Raffaello Cortina editore, Milano 2004, p. 298 (A Devil's Chaplain: Reflections on Hope, Lies, Science, and Love, Houghton Mifflin Harcourt, Boston 203). Il testo è stato richiamato di recente anche in Telmo Pievani, Perché non rispondiamo alle provocazioni, pubblicato su Pikaia.eu. Il portale dell'evoluzione, in data 28 dic. 2011.
[8] Cfr. T. Pievani, In difesa di Darwin, Bompiani, Milano 2007; id., Creazione senza Dio, Einaudi, Torino 2008.

sabato 4 febbraio 2012

Il grande equivoco: "evoluzione" non equivale a "progresso"

Terza cultura italiana: storia di un incontro mancato. 
Parte II [intermezzo sintetico]

Una variazione sul tema dello schema classico della direzionalità nell'evoluzione. Modificato da Human Evolution Scheme, reperibile su Wikipedia, opera di  M. Garde su un disegno di J.-M- Benitos.
Uno degli impieghi ordinari del vocabolo “evoluzione” nei secoli precedenti la rivoluzione darwiniana era la definizione di uno sviluppo ordinato, predeterminato. Da qui all'associazione con qualcosa di inevitabilmente progressivo e tendente alla maggiore complessità in senso assoluto il passo è stato storiograficamente breve. Il concetto ha una lunga e complessa storia, ma basti dire che quando Darwin pubblicò la prima edizione dell'Origine delle specie (1859), il concetto stesso del cambiamento evolutivo non era più così in voga nelle terre inglesi, soppiantato dalla notorietà della teologia naturale adattamentista di William Paley (1743-1805). Mentre la “trasmutazione” (così era nota in precedenza l'idea dell'evoluzione biologica) era stata à la page nel corso del '700 e in varie accezioni filosofiche, soprattutto nella Francia di Lamarck e dei tanti epigoni che si dedicarono al tema, nell'Inghilterrra del primo Ottocento l'attenzione nei confronti dell'argomento era scemata anche a causa dell'atmosfera controrivoluzionaria ispirata della rivalità politica anglo-francese [1]. In effetti, nella prima edizione del libro di Darwin il termine non compare (è utilizzato invece in quella del 1872). L'atmosfera e l'indirizzo della cultura generale dell'epoca è responsabile di questo pensiero che Darwin affidò ad una lettera datata Down, 11 gennaio 1844, e indirizzata al suo amico e corrispondente Joseph Dalton Hooker: «Alla fine, si è acceso un barlume di luce, e io sono quasi convinto (un’opinione opposta a quella che nutrivo all’inizio) che le specie non siano (è come confessare un omicidio) immutabili. Il cielo mi scampi e liberi dalle insensatezze di Lamarck di una  “tendenza al progresso”, di “adattamenti derivanti dalla lenta volontà degli animali”, eccetera – ma le conclusioni a cui sono indotto non sono molto diverse dalle sue – sebbene i mezzi del cambiamento lo siano completamente – io penso di aver scoperto (ecco la presunzione!) il semplice modo mediante il quale le specie si adattano mirabilmente a vari fini» [2]. Esporsi pubblicamente nello stesso ambiente culturale inglese che aveva accolto in modo feroce le Vestiges of the Natural History of Creation del 1844, il cui autore Robert Chambers (prudentemente celato sotto anonimato) era stato sovente tacciato di ateismo, significava per Darwin quasi confessare un delitto.
In secondo luogo, l'influenza del cosiddetto “darwinismo sociale” di Spencer nella seconda metà del secolo confuse maggiormente il panorama filosofico della biologia evoluzionistica. Per farla breve: in campo biologico, “evoluzione” è un concetto che non deve essere mai considerato equivalente o confuso con “progresso”. «Il darwinismo non solo non incentiva ma impedisce di porre le questioni evoluzionistiche in termini di arretratezza/progresso. […] L’evoluzione è adattamento (gli adattamenti più disparati), e se tutte le specie sono egualmente bene adattate alle loro condizioni di esistenza, nessuna però lo è perfettamente. Per cui […] nessuna specie può essere assunta come “migliore” di un’altra» [3]. Purtroppo nell’ultimo scorcio dell’Ottocento, la tendenza culturale era quella di identificare il progresso biologico assoluto con l'“evoluzione” tout court. Perciò l’opera spartiacque di Charles Robert Darwin fu spesso assimilata, e ancor più spesso stravolta, secondo le deformanti griglie concettuali della cultura generale dell’epoca: «per ironia della sorte […] il padre della teoria dell’evoluzione rimase praticamente l’unico a insistere che il cambiamento organico conduce solo a un crescente adattamento degli organismi all’ambiente e non a un astratto ideale di progresso caratterizzato dalla complessità strutturale o da una crescente eterogeneità: mai dire superiore o inferiore» [4]. Lo stesso schema tipico dell'evoluzione umana, diretto in modo finalistico verso Homo sapiens come traguardo ultimo della storia biologica del pianeta, è stato smantellato negli ultimi tempi dall'aumento delle conoscenze paleoantropologiche: non una sfilata unidirezionale di forme sempre più progredite indirizzate verso l'uomo attuale, ma una pletora di forme che hanno convissuto fino a una cinquantina di migliaia di anni fa, una ramificazione a cespuglio piuttosto che un albero, della quale noi oggi siamo gli ultimi testimoni rimasti [5]. Riguardo poi alla purtroppo ben nota espressione della "sopravvivenza del più adatto", occorre segnalare che il senso e la paternità dell’espressione non sono darwiniane (Darwin «non si stancò mai di allontanare risolutamente la sua teoria da qualsiasi implicazione sociale e politica»): «l’espressione “la sopravvivenza del più adatto” fu coniata da Herbert Spencer (1820-1903) negli anni Sessanta dell’Ottocento e fu adottata prima da [Alfred Russel] Wallace [naturalista ed esploratore inglese (1823-1913), sviluppò una teoria evolutiva della selezione naturale indipendentemente da Darwin. NdA.] e poi, con qualche ritrosia, da Darwin nella sesta edizione dell’Origine delle specie (1872)» [6].

continua...

[1] Cfr. James A. Secord, Darwin globale, in J.A. Secord, Sean B. Carroll, Steve Jones, Paul Seabright e John Dupré, Darwin. L'eredità del primo scienziato globale, Zanichelli, Bologna 2011, pp. 11-48 [ed. ridotta dell'or. W. Brown e A.C. Fabian (eds.), Darwin (The Darwin College Lectures), Cambridge University Press, Cambridge 2010].
[2] Charles Robert Darwin, L'origine delle specie. Abbozzo del 1842. Lettere 1844-1858. Comunicazione del 1858. A cura di Telmo Pievani, Einaudi, Torino, 2009, pp. 69-71 [link al testo].
[3] Giulio Barsanti, L’uomo e gli uomini: lettura storica, in Giacomo Giacobini (a cura di), Darwin e l’evoluzione dell’uomo, Bollati Boringhieri, Torino 2010, pp. 19-27, p. 25.
[4] S.J. Gould, Il dilemma di Darwin: l’odissea dell’evoluzione, in id., Questa idea della vita. La sfida di Charles Darwin, Editori Riuniti, Roma 1984, p. 28 (ed. or. Ever since Darwin. Reflections in Natural History, W.W. Norton & Co., New York 1977; art. pubbl. or. come Darwin’s Dilemma, in «Natural History» 83, 1974, pp. 16-22).
[5] Cfr. per una sintesi esaustiva, Telmo Pievani, Il non senso dell'evoluzione umana, in «MicroMega. Almanacco della scienza», 1, 2012, pp. 3-15 e id . e Luigi Luca Cavalli Sforza, Homo sapiens. La grande storia della diversità umana, Codice edizioni, Torino 2011.
[6] T. Pievani, Introduzione alla filosofia della biologia, Laterza, Roma-Bari 2010 (1a ed. 2005), p. 8.